Quando Mauro Martin mi ha mostrato per la prima volta una selezione degli scatti fotografici realizzati con tre distinte modelle su un tappeto orientale, la mia mente è corsa verso tutta una serie di immagini/simbolo: in primis Aladino e da qui, come una pietra che rotola e non si arresta più, al noto dipinto di Viktor Michajlovič Vasnecov - Il tappeto volante, appunto -, ma anche Le Mille e una Notte, la danza del ventre, lo scintillio dell’oro e del rosso… fino alle Arabian Nights di Marc Chagall. Questa mostra, pertanto, più che da un omaggio diretto all’artista che si è reso universalmente noto e riconoscibile come colui che fa “volteggiare nell’aria” le sue amate, nasce da un’associazione di idee, accomunate e “cucite” assieme da un simbolico fil rouge. A questo punto, con un processo inverso, guardando alle 13 tavole realizzate da Chagall proprio per illustrare Le Mille e una Notte, dalle centinaia di scatti fotografici di Martin ne abbiamo estrapolati altrettanti: 4 per ciascuna modella, ai quali avremmo dovuto trovare ed aggiungere uno scatto a se stante, a degna chiusura della serie. Ciò che colpiva sin dalle prime immagini, è che le tre modelle, ciascuna lasciata libera di muoversi sul tappeto e di indossare gli abiti a lei più congeniali, che l’avrebbero fatta sentire a proprio agio, ha lanciato un messaggio ben preciso all’obiettivo. La più giovane delle tre, sulla trentina (che non si legga, da donna a donne, come una caduta di stile, ma piuttosto come una libera rilettura di klimtiana memoria sulle 3 età della donna), ha mostrato un aspetto casto, quasi virginale. Lo scuro abito lungo, svolazzante, lascia intuire un corpo giovane, fresco, ma non ne mostra praticamente alcuna parte, ad eccezione delle caviglie. La seconda, già tra le quarantenni, si mostra sicura di sé; è la gatta che gioca col topolino. Statuaria, vive il tappeto sdraiandovisi e standovi in piedi, mentre l’abito si accorcia e si apre con scollature e spacchi laterali. La terza modella, vestita di bianco e dall’età indefinibile, ha uno sguardo ed un atteggiamento magnetici. Sembra pericolosa come il fuoco. Un tappeto, unico elemento concesso in comune a tutte e tre le modelle, ha fatto sì che ciascuna di esse riflettesse, in un implicito gioco di parti, il proprio erotismo secondo la sua, personalissima, indole. Ciò che mi preme sottolineare è che quelle sessioni di lavoro non avevano come scopo il riflettere l’approccio seduttivo delle tre donne, e che se il “set” fosse stato costituito da una stoffa fiorata, sicuramente l’atteggiamento delle modelle sarebbe stato ben altro. E questo ci riporta all’associazione di idee con cui abbiamo aperto questa dissertazione: è l’immaginario collettivo che attribuisce certi valori simbolici. Il tappeto, poggiato su un tavolo alla maniera fiamminga, o appeso ad una parete o come divisorio delle navate di una chiesa, come nel caso degli arazzi, non assume affatto una valenza sensuale o erotica. Ma se lo si pone in terra e si dice ad una bella donna di muoversi su di esso in totale libertà, allora sì che scatta un meccanismo tale da riportare alla mente storie di seduzione, di profumi, di danze. Pensiamo ad un caminetto in una baita di montagna: lo immaginiamo con o senza un tappeto davanti? A coronamento della serie, quindi, è parso naturale dedicare l’ultimo scatto all’oggetto-simbolo in questione, il tappeto. In realtà chiude una serie - che porta impresso a secco il cognome di chi scrive, con mio immenso orgoglio -, per socchiudere la porta verso un mondo inesplorato (del disegno, del decoro, dell’hortus conclusus, perché no?) che forse, me lo auguro, ispirerà Martin per un lavoro futuro. A conclusione vorrei ribadire che, a creare un collegamento ideologico ed iconologico tra Martin e Chagall, ha contribuito anche la “strana” carica erotica che promana dal ciclo “Arabian Nights”, qui esposto al completo. I personaggi di Chagall sono romantici, non sensuali. Si tengono per mano aleggiando nell’aria, e non concupiscono. In questa serie, invece, in almeno quattro tavole, c’è uno spiccato senso erotico, decisamente poco chagalliano. I colori si fanno persino acidi in alcune scene. Anche il grande maestro russo, confrontandosi con un classico testo orientale, forse il più noto in assoluto a noi occidentali, ha modificato il suo approcciarsi alla donna, rendendola femme fatale come mai prima. La notte araba rimane sinonimo di una promessa d’amore… Adelinda Allegretti
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