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 (Self)Portraits #2
 Mostra collettiva internazionale a tema

  Cypress College Art Gallery, Los Angeles
  29 ottobre - 25 novembre 2015
La mostra sviluppa la tematica già affrontata a Milano nel 2014, presso La Casa delle Culture del Mondo:
http://www.allegrettiarte.com/dett_mostre.asp?id=365

Artisti selezionati: Aziralili (PL), Umberto Barillaro (I), Agnese Cabano (I), Fabio Castagna (I), Rosslyn Duncan (UK), Laurence Eichenlaub (F), Fleur Le Gros (NL), Tibor Hargitai (CA), Giuliana Maddalena Fusari (I), Claudio Giulianelli (I), GUIKNI (MEX/I), Vilma Landro (I), Mais (NL), Mauro Martin (I), Carla Moiso (I), Gaby Muhr (A), Päivyt Niemeläinen (FI), Eva M. Paar (A), Antonio Pamato (I), Siegfried Pichler (D), Maria Ramos (E), Andrea Rizzardi Recchia (I), Giuseppe Rizzo Schettino (I), Patricia Romero (E), Gregg Simpson (CA), Alejandrina Solares (DO/I), Felizitas Wermes (MEX), Young-Ae Yi (KOR)

CON IL PATROCINIO DEL CYPRESS COLLEGE

Il ritratto, prima ancora che un genere artistico, è un istinto. Il bambino ritrae se stesso e la sua famiglia, cercando di attribuire a ciascun membro una specifica caratteristica: i capelli più o meno lunghi, gonna o pantalone a seconda del sesso, e all’occorrenza occhiali, baffi, cappelli e quant’altro possa risultare utile al suo riconoscimento, cui contribuiscono anche le azioni, l’ambientazione e l’eventuale presenza di animali.
Anche per un artista l’autoritrarsi è, generalmente, un’azione “ovvia” e ricorrente. Per diversi motivi: il modello in tal senso è sempre disponibile, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e ciò permette di rispettare l’imprevedibilità dell’ispirazione; non costa nulla, a dispetto di un modello, uomo o donna che sia, pagato per posare. Inoltre eseguire un autoritratto significa guardarsi dentro, compiere uno straordinario viaggio introspettivo.
Ed è proprio da quegli artisti che si sono palesemente autoritratti che inizierò questa breve analisi, per poi passare a coloro che hanno invece preferito dedicarsi a volti e figure che non gli appartengono in prima persona. Aziralili, che mi è piaciuta sin da subito per la sua vena pop ed autoironica, in Gardens (2015) si ritrae nelle vesti di una moderna Eva nell’Eden. Scomparsa la figura di Adamo ed indossati gli occhiali da sole, indipendente e sicura di sé si muove in una realtà che non ha nulla di ostile, come ci si aspetterebbe da un Eden post-peccato originale. Ed a ben guardare, anche le foglie di fico hanno lasciato il posto a fiori di loto. L’emancipazione è avvenuta, grazie anche ad una piena consapevolezza di sé. Consapevolezza che torna, in bella vista, in Dirty Selfie (2010-15). Al di là dell’attualità del titolo, che di certo non sfuggirà a quanti non perdono occasione di immortalarsi a qualsiasi ora del giorno e nelle più disparate occasioni, il numero 9 ricorrente e messo in bella vista in corrispondenza del terzo occhio, proprio al di sotto dell’immagine dorata del Buddha, mi fa balzare alla mente il significato numerologico del compimento. Il nove è il numero della saggezza, dell’integrità, del pieno ciclo della trasmutazione. Se in passato i pittori si ritraevano con tavolozza e pennelli, i cosiddetti “ferri del mestiere”, oggi la scelta è quella di sottolineare quanto “illuminato” sia il lavoro dell’artista, a rimarcare il ruolo sociale di prim’ordine che egli espleta.
Become One (2015) di Gaby Muhr cita Telefono aragosta (1936) di Salvador Dalí che diventa una sorta di eccentrico copricapo. Non credo l’artista austriaca abbia voluto mantenere vive le implicazioni sessuali insite nell’opera surrealista, quanto piuttosto ribadire la sua condizione di artista professionista citando una delle più discusse, egocentriche e geniali figure della storia dell’arte del Novecento.
Maria Ramos, invece, con Afro-Spaniard (Self-Portrait) (2000) prende le mosse dalle sue radici come punto di partenza per una ricerca di più ampio respiro, in cui affronta le complesse dinamiche dell’identità razziale e culturale, nonché, di rimando, della convivenza e della tolleranza. Persino la struttura dell’opera, un dittico appunto, riflette tale dicotomia. Anche le due tele -entrambe Senza titolo e datate 2015- di GUIKNI, artista originaria di Puebla e ormai naturalizzata italiana, riflettono con orgoglio, seppur indirettamente proprio perché non dichiaratamente autoritratti, quella “messicanità” che nell’immaginario collettivo è fatta di esuberanza cromatica: un’esplosione incontenibile di gioia e di allegria, in cui i toni caldi dell’arancio, del giallo e del rosso si espandono sulla tela e persino oltre, direi, come un canto Mariachi cui non si può rimanere impassibili.
Molto diversa l’interpretazione che la coreana Youg-Ae Yi dà di sé in Self-Portrait of the Artist (2015). Scomparso ogni riferimento anatomico, l’unico elemento oggettuale e riconoscibile è un delizioso cappello, di quelli in lana, descritto con dovizia di particolari, ricamato ed impreziosito con una piccola foglia. Un’attenzione lenticolare che viene meno nel resto della composizione, in cui l’unico riferimento sembra essere al mondo vegetale. Forme che fluttuano, scivolano una al fianco dell’altra, filamentose, ricche di linfa. L’artista, sensibile e delicata come un fiore, e come tale bisognosa di protezione (e non solo dal freddo), come parte integrante della Natura.
E poi c’è chi mette fisicamente parte di sé nell’immagine destinata a tramandarne le fattezze. È il caso di Giuliana Maddalena Fusari e del suo Autoritratto con ciglia umane (1996). Le ciglia, inutile quasi sottolinearlo, sono le sue. Mi viene in mente Carol Rama e le sostanze organiche inserite nei suoi lavori. Qui, lontani da qualsivoglia provocazione, le ciglia contribuiscono a rimarcare il confine tra il volto ed il resto della testa, che diviene pretesto per una rappresentazione paesaggistica, in cui alberi ad alto fusto si stagliano contro l’azzurro del cielo. Nella seconda opera selezionata della Fusari, invece, Autoritratto con la testa tra le mani (1992), si perde completamente ogni riferimento fisiognomico, lasciando “neutra” proprio l’area del volto, che rimane di tela grezza.
Le tre installazioni di Alejandrina Solares, pur rientrando a pieno titolo in una condizione di “autoritratto”, non si soffermano sull’aspetto fisico, ma piuttosto indagano valori più intimi e profondi. Parti integranti della serie Baloonhandwritting Blue – Geografia emozionale (2014-15), rimarcano con ripetute frasi che si dispiegano sull’intera superficie della tela l’assunto “Io morirò” o “I will die”, inteso come aspetto sine qua non della vita di ciascuno. Un autoritratto, ma che allo stesso tempo funge da ritratto di gruppo dell’intera umanità. In un ambito di ritratto a latere si pone anche l’opera di Laurence Eichenlaub, Unity (2015). Partendo da una considerazione personale, il dipinto esprime il concetto di unità (il cerchio arancio al centro) tra mente (il corpo rosso sulla sinistra) e l’anima (quello sulla destra). Quando l’uomo è libero da condizionamenti esterni, l’armonia governa la sua vita e ciò si manifesta con una profonda pace interiore in cui regna, appunto, unità tra le singole parti. Il concetto di unità ritorna delle tre opere di Gregg Simpson, dove i corpi sono solo accennati, o meglio intuiti come parte integrante di una realtà molto più vasta, che tutto fagocita. Danseur (2014) ha ormai completamente perso ogni riferimento anatomico, che invece ancora si percepisce in Escapee (2009) e Red Dancer (2012), in un crescendo di astrazione. È a tutti gli effetti un ritratto dell’Uomo immerso nella Natura.
La sezione dedicata ai ritratti di personaggi famosi è splendidamente rappresentata dall’austriaca Eva M. Paar. Born on 08/16 (2007) ritrae Elvis Presley nel pieno della gioventù, mentre The Fairytale (2008) è l’effige senza tempo di Grace Kelly, ancora oggi icona di eleganza, esattamente come Clark Gable in The Winner (2009), inarrivabile stella del cinema americano. E la sua tecnica, originalissima, ben si adatta a raffigurare tali miti della musica e del cinema di tutti i tempi: le “graffiature” ricreate pittoricamente sulla tela tendono a rendere la lettura del soggetto quantomeno difficoltosa. Lo spettatore certo riconosce le fattezze dei personaggi, ma solo dopo aver messo a fuoco da lontano l’immagine nella sua interezza. La Paar ottiene lo stesso “straniamento” ottico che i Post-Impressionisti utilizzavano col Pointillisme: da vicino il soggetto appare sfocato, di difficile lettura, ma da lontano la retina ne ricompone le singole parti e quello che si ottiene è un tutt’uno omogeneo e ben leggibile. Perché reputo tale tecnica perfettamente in linea con i soggetti prescelti? Perché contribuisce a sottolineare la loro distanza sociale rispetto a chi guarda, icone tanto amate ed al contempo così -superficialmente- note a quel grande pubblico che tutti noi rappresentiamo.
Ancora un personaggio famoso per il trittico di Siegfried Pichler, Universal Genius (2015). Il volto che occupa oltre un terzo della composizione è quello di Clint Eastwood, qui osannato non solo per le sue doti cinematografiche, di attore prima e di regista poi, ma anche come autore di musica e politico. A questo aspetto della sua carriera, infatti, allude la grande aquila, a ricordare la carica di Sindaco e l’appoggio alla candidatura di Arnold Schwarzenegger alle elezioni governative della California.
Rosslyn Duncan si ispira ad una popstar in Lady Gaga Moment (2014), ma qui la tecnica prescelta è classica, quella del bel disegno. Lo stile della cantante americana è perfettamente riconoscibile, col volto seminascosto dagli enormi occhiali da sole. Lo stesso dicasi per altre sue due opere, Sunglasses (2012) ed Aisha (2013) in cui l’attenzione fisiognomica è totalizzante. Tuttavia in quest’ultimo disegno l’artista di origini scozzesi aggiunge anche l’utilizzo del pastello, ottenendo quindi un risultato più pittorico. È su questa scia che si muove anche Patricia Romero. In Abbigail, Sienna e Zapphire, tutte datate 2015, il disegno dal marcato utilizzo del chiaroscuro è completato da sapienti tocchi di pastello al fine di creare un legame con l’ambiente circostante (siano essi uccelli, fiori o l’abito indossato), ma mai per il volto, che rimane sempre un indubbio brano di bravura. Ne risultano immagini delicate e preziose, in cui il bianco del foglio acquista anche un valore strutturale. Inoltre esse incarnano un ideale femminile, quello continuamente rimarcato dall’universo mass-mediale. È a tale realtà che si ispira anche l’opera dell’olandese Fleur Le Gros. Withdrawn (2015) focalizza l’attenzione sul volto di una bellissima giovane. Come la realtà globalizzata ci ha ormai abituati, stili di vita e fisionomie una volta prettamente occidentali o orientali, per semplificare il concetto, oggi si mescolano in infinite sfumature. Pertanto anche il significato di bellezza è in continuo divenire.
Una coppia famosa, stavolta però appartenente al mondo dell’arte, è la protagonista della tela Frida and Diego (2015), in cui Agnese Cabano ricorre al simbolismo. Se ritrae la pittrice messicana non solo con le sue note fattezze, divenute negli anni sinonimo di emancipazione e determinazione femminile, ma anche sotto forma di colomba, leggera e libera nonostante gli impedimenti fisici di cui soffriva, Diego Rivera compare unicamente sotto le spoglie di un rospo, a ricordare il modo in cui popolarmente i due erano soprannominati.
Prima di passare ad una visione idealizzata del soggetto ritratto, mi si conceda un piccolo passo indietro, a completare l’analisi dei lavori della Duncan, che in Grace (2012) lascia in assoluto secondo piano la tecnica del disegno, prediligendo invece l’uso del colore, anche in sostituzione del chiaroscuro, a dimostrazione del fatto di trovarsi pienamente a proprio agio con entrambe le tecniche, così antitetiche tra loro. Ma anche nell’opera della finlandese Päivyt Niemeläinen, Dr of Philosophy (2015), la pratica del disegno viene sostituita, alla maniera impressionista, da una stesura dell’olio prevalentemente a macchia, anche se non mancano tratti più filamentosi di colore. Questo contribuisce, assieme all’abbigliamento, a dare al ritratto un sapore di antico, di passato, di Ottocentesco. Orientaleggiante, invece, l’opera di Umberto Barillaro dal titolo La principessa dal lungo collo (2011). Gli ori e le pietre preziose che le ornano capo, collo e polso sottolineano le sue nobili origini, così come il paesaggio che si apre all’orizzonte, alle sue spalle, rimanda a terre e culture lontane.
Abbiamo accennato al ritratto idealizzato. I tre lavori di Claudio Giulianelli datati 2015, mostrano figure femminili fuori dal tempo. Impegnate a suonare il violino (La violinista di Zasraprandung di Sotto), a mostrare un burattino (Il Pulcinella) o una maschera (Laura aveva una maschera, una maschera aveva Laura), indossano abiti e copricapo che non appartengono alla contemporaneità. Ma ancora più idealizzate sono, e per ovvi motivi, le figure protagoniste delle opere di Carla Moiso, l’unico vero azzardo di questa mostra: Angelo 1 e Angelo 2, entrambe del 2013. Entità asessuate, siamo soliti ammirarle nelle grandi pale d’altare o nelle volte barocche. Ebbene, anche in questo caso il virtuosismo tecnico, la “bella pittura”, unita all’utilizzo della foglia d’oro, ormai più materia di studio che tecnica praticata, mi hanno convinto che la mostra sarebbe stata più “povera” senza tale dittico.
Dopo tanta dolcezza, e proprio per sottolineare l’ampia gamma iconografica di questa mostra, le opere di Felizitas Wermes fungono da doccia fredda, riportandoci verso un realtà molto diversa. Mr. Roger S (2015), ma soprattutto il coevo Mr. Allan T, mostrano volti dai toni acidi, incompleti, tanto da annullare quasi del tutto bocca e naso, le macchie che corrodono la pelle. Anche nel disegno di Vilma Landro, dal tratto rapido e continuo, il volto appare emaciato, scavato nel fondo nero del foglio, che contribuisce a dare al ritratto un’aura inquietante.
Nei due ritratti di Mauro Martin, Reinassance Revived 1 e 2 (2015), è ben evidente quell’ideale di bellezza e di armonia tipica del Rinascimento, qui rivisitato in chiave contemporanea. Come una moderna Madonna (non alludono forse al messaggio dell’Arcangelo Gabriele quei gigli bianchi in primo piano?), al di là di un parapetto Ella stessa si trasforma in simbolo di purezza.
Per certi versi tra le opere appena citate di Martin e quella di Tibor Hargitai corre un sottile filo di Arianna. Certo Dot of Life (Self-Portrait with Mothers Lovers Daughters) si presta a decine di diverse chiavi di lettura, ma a me piace vedervi un omaggio alla figura femminile, aulica e perfetta come una scultura canoviana, un universo che rotea attorno alle impronte lasciate dall’uomo, come una presenza/certezza imperturbabile.
Con l’opera dell’olandese Mais, Roxanne (2009), ci ritroviamo invece catapultati nel Cubismo analitico picassiano. La figura, infatti, è stata scomposta e poi ricomposta, determinando una sovrapposizione di punti di vista. Non manca altresì un omaggio a Piet Mondrian, evidenziato dai quadrati e rettangoli di colore giallo, blu e rosso, cui si aggiungono, quasi fossero tasselli di un mosaico, gli altri su sfondo bianco e grigio che contengono ed “incasellano” le distinte parti del corpo. Opera consequenziale a questa è Anastasia (2015) di Fabio Castagna, fondatore del Sovrapposizionismo, una corrente pittorica che, per dirla con le parole dell’artista, «intende rappresentare la realtà attraverso una nuova concezione visiva delle sue forme mostrando, in chiaro, la sovrapposizione delle linee, degli oggetti e di tutto ciò che ci circonda».
Nell’elaborazione tematica di Antonio Pamato, il personaggio ritratto è L’uomo sulla strada (2013). Scelta condivisa anche da Giuseppe Rizzo Schettino, con Clochard newyorchese. Portrait of Invisible, quella di dedicare la loro attenzione a figure troppo spesso “secondarie” della nostra società. In quest’ultimo caso, inoltre, quel senso di non finito contribuisce a rendere evanescente l’uomo, le cui azioni si perdono, rarefatte ed inutili, agli occhi dei passanti.
Voglio chiudere con Gabbia figurativa (2012) di Andrea Rizzardi Recchia. Si fatica ad individuare il profilo umano costretto in un riquadro nero, claustrofobico, ma poi l’unico tocco di colore attira il nostro sguardo. È allora che riconosciamo anche un mazzo di fiori, vitale e vaporoso. La mente corre a Chagall, ai molteplici autoritratti in cui, dichiaratamente, cita la sua figura di artista due volte, in carne ed ossa e sotto forma di mazzo di fiori. In mezzo a tanta dicotomia bianco/nero, alla rigidità dei blocchi scuri che galleggiano in un magma bianco, un piccolo fiore riporta l‘attenzione sulla vita.

Adelinda Allegretti
Rassegna stampa
Allegati
 Invito    Catalogo  
Opere
Agnese Cabano, Frida and Diego (2015), olio su tela, cm 64x58,5 Alejandrina Solares, Balloonhandwritting Blue - Geografia emozionale v1 (2015), inchiostro blu, grafite, nastro adesivo, pennarello lavabile su stoffa, cm 150x200 Alejandrina Solares, Balloonhandwritting Blue - Geografia emozionale v2 (2015), inchiostro blu, grafite, nastro adesivo, pennarello lavabile su stoffa, cm 150x200
Alejandrina Solares, Balloonhandwritting Blue - Geografia emozionale v3 (2015), inchiostro blu, grafite, nastro adesivo, pennarello lavabile su stoffa, cm 150x200 Andrea Rizzardi Recchia, Gabbia figurativa (2012), tecnica mista su tela, cm 60x60 Antonio Pamato, L'uomo sulla strada (2013), acrilico su tela, cm 80x80
Aziralili, Dirty Selfie (2010-15), acrilico su tela, cm 100x130 Aziralili, Gardens (2015), tecnica mista su tela, cm 100x100 Carla Moiso, Angelo 1 (2013), olio e foglia d'oro su tela, cm 50x70
Carla Moiso, Angelo 2 (2013), olio e foglia d'oro su tela, cm 50x70 Claudio Giulianelli, Il Pulcinella (2015), acrilico su carta, cm 21x30 Claudio Giulianelli, Laura aveva una maschera, una maschera aveva Laura (2015), acrilico su carta, cm 21x30
Claudio Giulianelli, La violinista di Zasraprandung di Sotto (2015), acrilico su carta, cm 30x21 Eva M. Paar, Born on 08/16 (2007), olio su tela, cm 40x50 Eva M. Paar, The Fairytale (2008), olio su tela, cm 40x50
Eva M. Paar, The Winner (2009), olio su tela, cm 40x50 Fabio Castagna, Anastasia (2015), olio su tela, cm 30x30 Felizitas Wermes, Mr. Allan T. (2015), monotipo, cm 38x38
Felizitas Wermes, Mr. Roger S. (2015), monotipo, cm 38x38 Fleur Le Gros, Withdrawn (2015), fotografia su alluminio, cm 60x80 Gaby Muhr, Become One (2015), acrilico su tela, cm 80x80
Giuliana M. Fusari, Autoritratto con ciglia umane (1996), acrilico su raso, lana mohair, ciglia, cm 64x69 Giuliana M. Fusari, Autoritratto con la testa tra le mani (1992), acrilico, guazzo su carta applicata su juta, cm 91x102 (part.) Giuseppe Rizzo Schettino, Clochard newyorchese. Portrait of Invisible (2015), olio su tela, cm 50x50
Gregg Simpson, Danseur (2014), acrilico su tela, cm 66x122 Gregg Simpson, Escapee (2009), acrilico su tela, cm 121x156 Gregg Simpson, Red Dancer (2012), acrilico su tela, cm 66x122
GUIKNI, Senza titolo (2015), acrilico su tela, cm 50x70 a GUIKNI, Senza titolo (2015), acrilico su tela, cm 50x70 c Laurence Eichenlaub, Unity (2015), acrilico su tela, cm 60x80
Mais, Roxanne (2009), olio su tela, cm 80x100 Maria Ramos, Afro-Spaniard (Self-Portrait) (2000), tecnica mista su tela, dittico (cm 105x105 e 145x145) Mauro Martin, Reinassance Revived 1 (2015), tecnica mista su tela, cm 40x40
Mauro Martin, Reinassance Revived 2 (2015), tecnica mista su tela, cm 40x40 Päivyt Niemeläinen, Dr of Philosophy (2015), olio su tela, cm 45x55 Patricia Romero, Abbigail (2015), matita e pastello su carta, cm 50x70
Patricia Romero, Sienna (2015), matita e pastello su carta, cm 50x70 Patricia Romero, Zapphire (2015), matita e pastello su carta, cm 50x60 Rosslyn Duncan, Aisha (2013), pastello e carboncino su carta, cm 60x60 (part.)
Rosslyn Duncan, Grace (2012), pastello e carboncino su tela, cm 40x26 Rosslyn Duncan, Lady Gaga Moment (2014), pastello e carboncino su carta, cm 40x60 Rosslyn Duncan, Sunglasses (2012), carboncino su tela, cm 42x52
Siegfried Pichler, Universal Genius (2015), acrilico su legno di faggio, cm 105x60 (trittico) Tibor Hargitai, Dot of Life (Self-Portrait with Mothers Lovers Daughters) (2015), tecnica mista su tela, cm 244x244 Umberto Barillaro, La principessa dal lungo collo (2011), olio su cartone telato, cm 35x50
Vilma Landro, Senza titolo (2015), pastelli ad olio, cm 35x50 Young-Ae Yi, Self-Portrait of the Artist (2015), acrilico, foglia e inchiostro su tela, cm 38x45,5
Inaugurazione






































































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Adelinda Allegretti: storico dell'Arte, giornalista, curator di eventi espositivi - CREDITS