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Giù la maschera! #3
Mostra collettiva internazionale a tema
Centro Congressi Medioevo, Olgiate Comasco (CO)
30 gennaio - 16 febbraio 2010
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Artisti selezionati: Ambra Maria Alessandrini, Anna Maria Angelucci, Paolo Avanzi, Marta Baffa Trasci, Grazia Baffigi, Gennaro Barci, Luisa Bergamini, Cecilia Bossi, Claudio Bozzaotra, Silvano Bricola, Lucilla Campioni, Renata Casolini, Bonifacio Castello, Antonia Eleonora Cavaleri, Massimo Cimmino, Claudia Collina, Andrea D'Addario, Marina De Palma, Gregory Di Carlo, Serena Fazio, Alessandra Ferretti, Guido Maria Filippi, Giuseppe Fossati, Maria Grazia Frassetto, Maria Gagliardi, Alessandro Gambetti, Itala Gasparini, Claudio Giulianelli, Paola Grizi, Giulia Infante, Itto, Odette Lafrance, Marco Marcarelli, Mauro Martin, Mirror, Silvio Natali, Ester Negretti, Dino Paiano, Beatrice Palazzetti, Rocco Pellegrini, Cristina Pennacchi, Francesca Pierattini Rossello, Angela Policastro, Maria Pia Rella, Gian Maria Salvi, Massimo Spinelli, Maria Grazia Stoppa, Patrizia Stracchi, Vittorio Strambini, Valeria Tomasi, Dino Ventura, Stefania Zini.
Terzo appuntamento espositivo col progetto "Giù la maschera!", dopo quelli ospitati presso il Museo Civico "Umberto Mastroianni" di Marino (RM), 7-28 febbraio 2009, e la Galleria AB - Arte Bastia di Milano, 4-11 mazo 2009.
Il Comune di Olgiate Comasco (CO) ospita il terzo appuntamento col progetto dal titolo “Giù la maschera!”, per il quale sono già stati selezionati una cinquantina di artisti, sia italiani che stranieri. Ora altri artisti sono invitati a dipingere, manipolare, trasformare in un’opera d’arte una maschera in cartapesta, precedentemente fornita e realizzata a sua volta da maestri veneziani. L’iniziativa, in realtà un work in progress, è destinata a spostarsi continuamente in Italia ed all’estero, in spazi pubblici e privati. Per ciascuna di tali occasioni verrà effettuato un servizio di comunicazione stampa. Agli artisti viene chiesto di donare la maschera all’organizzazione. Ogni maschera dovrà essere realizzata in totale autonomia di tecnica e contenuto e dovrà rimanere indossabile. Tutta l’operazione garantisce ai singoli artisti una enorme visibilità attraverso circuiti sia nazionali che internazionali. A maschera-opera d’arte venduta, ogni artista, se vorrà, potrà intervenire con un secondo manufatto, che ovviamente dovrà essere diverso dal primo, ed alle stesse condizioni sopra citate. Sarà l’organizzazione a farsi carico, di volta in volta, del trasporto delle maschere-opere d’arte dalla sua sede, in Roma, verso le sedi espositive. Ciascuna maschera-opera d’arte dovrà essere firmata al suo interno ed accompagnata da foto autenticata dall’autore.
A rendere ancora più unica e preziosa l’iniziativa, tre maschere originali, interamente realizzate in cartapesta e decorate a mano, eseguite dai fratelli Massimo e Sergio Boldrin, indiscussi maestri mascareri veneziani, che dal 1984 portano avanti la loro passione nel laboratorio “La Bottega dei Mascareri”, a due passi dal Ponte di Rialto. Le loro maschere sono state utilizzate da Stanley Kubrick per Eyes Wide Shut (1999), suo ultimo capolavoro con Tom Cruise e Nicole Kidman.
A completare la mostra una ventina di lavori, su tela e su carta, di Claudio Giulianelli, in cui regna sovrana l’idea della figura e del suo doppio/burattino, che come una maschera ne cela la reale identità.
Una sezione a sé è costituita dalla proiezione del video "Io corporali e frammenti mentali" di 97508790157: L'attrice all'interno del quadrato rappresenta la società mascherata nella sua perversione mediatica. Non sa cosa vede, ingoia o tocca, così come vive nell'ambiguità di poter essere interpretata da qualunque attore perchè non ha connotati di identificazione personale. Si dà nella frammentazione sociale e autoriale. Frammentazione intesa come frame - azione, nel senso che è l'immagine chiusa e finita, data come risultato finale, a spingere all'azione mentale di chi ne fruisce. Il risultato è la confusione dei livelli di appartenenza, è come non sapere dove si è collocati, se nell'ambito della superficialità o profondità, è come se qualcuno ci avesse strappato di dosso i collegamenti semantici degli elementi che usiamo per relazionarci con il reale. Non so più chi sono, sono un numero perchè ce l'ho scritto addosso. La rappresentazione scenica della clip in particolare, è data nella ripetitività dei movimenti di un quadrato mentale che ne ingloba uno reale e incollato per terra, nel cui centro c'è qualcuno che si muove, guarda, sta fermo, non vede, non parla e non può toccare se non con una patina che lo avvolge e non gli dà una sicura percezione. E' come se dicesse: leggo ma non so scrivere, so scrivere ma non so leggere, mi hanno costretto a farlo e non ho più libera interpretazione. E' come se fosse una maschera e il suo doppio ben amalgamati tra loro, con in più la resa tecnica del ribaltamento dell'immaginario, delle ombre e di ciò che meglio lo rappresenta. Ci sono però attori con i connotati esposti allo scontro visivo, che nel loro stare "fermi" diventano parte dell'arredo scenico della quotidianità, in pratica diventano oggetti di una dimensione personale. Anche loro interrogativi del reale, sono in bilico tra immobilità e movimento, tra soggetto e oggetto. Non sono niente di più che un percorso, ma senza una precisa direzione. C'è una stanza dove succede tutto ed è la scatola cinese di un qualcosa di più ampio, e c'è un reale isolamento dalle cose che circondano l'attrice, è un'azione crudele che le ho fatto...
io non lo volevo fare amica mia, è il colore il tuo make-up, uccidimi pure io muoverò gli oggetti con la testa, io sarò... la tua allucinazione peggiore
Lo spazio Il complesso edilizio denominato "Medioevo" appartenne fin dall'antichità ai Conti Lucini Passalacqua (il loro stemma in cotto è ancora visibile su un pilastrino a destra del tetto del cancello d'ingresso), fu poi dei Sigg. Camozzi Momo, delle sorelle Nessi che lo vendettero al Comune di Olgiate. Nel cabreo (descrizione dei beni) redatto nel 1885 per G. B. Passalacqua, si dice che in questa corte c'erano: scuderie, rimessa per le carrozze, bigatera, stalle, cascina, torchio, tinaia e l'abitazione del fattore. Nei primi anni del '900 si comincia a pensare di ristrutturare questo complesso pur lasciando la medesima destinazione agricola. Non essendoci un'autonomia architettonica si pensò di prendere a modello il '400 lombardo che giocava sul gusto coloristico rosso mattone (cotto delle finestre) e bianco dei muri con graffiti. Ancora si pensò di unire qualcosa di autentico all'imitazione dell'antico: così "tre colonne di vivo" di un antico edificio olgiatese vengono collocate vicino al muro di fronte all'ingresso del cortile. Entrato nel complesso da via Lucini c'è a sinistra una torre che rinvia al castello visconteo di Pandino in provincia di Milano. Originariamente la torre era costruita con sassi a vista; si è mantenuta la base poliedrica ed è stata completamente rifatta nella parte superiore. Nel suo progetto eclettico e composito l'ideatore della ristrutturazione, non si accontenta di ispirarsi a modelli lombardi, ma spazia anche in Toscana. Infatti la base ottagona del pozzo al centro del cortile e la scala che dal cortile porta al loggiato d'accesso all'oratorio, rinviano alla corte del Bargello di Firenze. Varcato l'artistico cancello in ferro battuto, abbiamo a destra un piccolo portico con tre affreschi che rappresentano "il trionfo dell'amore". I primi due affreschi, un'allegra brigata di dame e cavalieri che va a festeggiare gli sposi, sono reinterpretati dal "trionfo della morte" del cimitero di Pisa. Là, cavalli e cavalieri hanno volti terrorizzati perché troveranno tre bare aperte; qui, sono festosi perché trovano due sposi. In capo alle lesene che dividono i tre affreschi ci sono gli stemmi dei coniugi Camilla Camozzi e Federico Momo: Momo un leone rampante, Camozzi un camoscio. Avanzando nel cortile si ha di fronte un grande portone a cassettoni con due picchiotti; a destra un cancelletto in ferro battuto dà accesso alla "scala nobile" che porta al primo piano. Giunti al loggiato, da dove si accede ai locali di rappresentanza, dato uno sguardo dal balcone al cortile, si noti il fregio del soffitto costituito da una serie di tavolette in legno che ritraggono "alla luiniana" personaggi della corte ducale di Milano. Significativa la tavoletta col ritratto contrassegnato BER LOVINO perché riproduce fedelmente l'autoritratto di Bernardino Luini presente un tempo in Casa Lambertenghi a Como. Tornati nel cortile, proseguendo a destra, si accede ad un portico a due archi attorno al quale si sviluppava l'azienda agricola. Sotto il portico si resta stupiti da numerosi cartigli con frasi latine, consuetudine del '400 con valore didattico per i lettori di ieri e di oggi. "Sempre el dovere" si legge sotto i due archi, frase tipica che compare in ville suburbane milanesi, come la Bicocca. Altre frasi sottolineano la destinazione agricola degli ambienti a cui si accedeva dal portico. Infatti nel primo cartiglio a destra sopra una finestrella si legge: "Abbiate bilance giuste, pesi giusti, efa giusto" (l'efa serviva per misurare grano e orzo). Questa frase tratta dal cap. 19 del Levitico ci fa capire che qui c'era una piattaforma per pesare i prodotti dell'azienda. Varcato il portone, entrati nella grande sala delle mostre, possimao anche ammirare la'ntica bilancia datata 1886. Un'altra scritta dice: "Non è forte e valoroso l'uomo che evita il lavoro". In fondo al portico a sinistra, dove c'erano le stalle, s'invita l'uomo ad imparare il lavoro dal bue e dal cavallo. Dalla porta sottostante questo invito si accede al centro congressi sito al primo piano. "Nell'atrio c'è un grande ritratto di Federico Momo (famoso ciclista vogherese attivo dal 1894 ai primi del 1900), al quale l'auditorium è dedicato. Tornati in cortile, salendo la scala esterna a destra, copia di quella presente a Firenze nel palazzo del Bargello, si accede al loggiato che porta all'oratorio. Subito restiamo colpiti dal graffito sulla parete di sinistra: è un panorama della Certosa di Pavia vista dal chiostro grande. Il progettista aveva ben presente questo monumento tanto che le quattro foglie al piede di ogni colonna del loggiato e alcuni capitelli riproducono fedelmente quelli della Certosa. Se poi dal loggiato guardiamo in cortile, a destra, i graffiti che ornano la fascia di muro a confine con il parco di Villa Camilla, di cui il Medioevo fu sempre dipendenza ed alla quale si accede per una galleria con ingresso dal cancello posto a sinistra dopo gli affreschi, vediamo tre raggiere con la scritta GRA-CAR (gratiarum cartusia) appellativo della Certosa di Pavia. Lungo il percorso che ci porta alla cappellina, sul parapetto del loggiato si vedono riprodotte più volte le lettere CMF che dovremo saper interpretare, perché sono le iniziali dei committenti di questo complesso: Camilla e Federico Momo. Nella lunetta sopra il portone d'ingresso dell'oratorio abbiamo un volto di Cristo coronato di spine che richiama un'opera del Luini. Nel '400 c'era una devozione per la "santa corona" tanto che a Milano c'è ancora un'istituzione benefica che porta questo nome. Entrati nell'oratorio si nota un'artistica cancellata che riproduce fedelmente, in dimensioni ridotte, quella di una cappella della chiesa di San Petronio a Bologna: cambiano gli stemmi posti ai lati dell'albero della vita: qui, quello di sinistra è di mons. Valfré De Bonzo vescovo in Como dal 1896 al 1906. La cappellina, benedetta nel 1924, presenta una serie di affreschi di Luigi Morgari: San Cristoforo, un pellicano, San Giogrgio patrono dei cavalieri, l'incoronazione di Maria. Per questo soggetto, il Morgari attivo a Milano, nel Duomo di Vercelli e nella parrocchia di Olgiate, prende a modello l'affresco presente nel catino absidale di San Sempliciano a Milano, opera del Borgognone. La mensa dell'altare poggia su un'antica cassapanca: la scena del palliotto rappresenta la consegna delle chiavi fatta da Gesù a San Pietro e ricorda l'opera del Perugino presente nella Cappella Sistina. Dalle date che si leggono all'interno del complesso si ipotizza che i lavori si siano svolti in due momenti. La prima parte: cortile, edificio, interni e loggiato furono terminati nel 1911. Infatti in uno dei locali di rappresentanza vediamo scritto su un camino questa data, confermata dal cartiglio a destra dove si legge "Albert Dresler mediolanensis pictor 1911". La seconda parte: affreschi all'ingresso del cortile e oratorio 1923-1924. I graffiti sono opera dei fratelli Giuseppe e Francesco Bricola; i ferri battuti sono stati forgiati nell'officina di Giuseppe ed edoardo Introzzi che si trovava vicino all'attuale piazza Umberto. I primi interventi di restauro, dopo l'acquisizione del complesso da parte del Comune, sono stati finanziati dal Ministero dei beni culturali sotto la direzione dell'architetto Alberto Artioli della Sovrintendenza per i beni culturali ed artistici di Milano; tutti i lotti successivi, nell'ultimo decennio, dalla Amministrazione comunale di Olgiate. Attualmente il complesso ha una funzione polivalente e può ospitare iniziative pubbliche e private, disponendo di sale e spazi di diverse dimensioni per mostre, convegni, spettacoli e manifestazioni varie. Antonio Catelli
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