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Homo velocipede
Mostra collettiva internazionale a tema
Museo delle Auto della Polizia di Stato, Roma
31 gennaio - 28 febbraio 2009
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Artisti selezionati: Laurence Courto (F), Alessandra Ferretti, Daniele Leoni, Mauro Martin, Silvio Natali, Giuliano Pastori, Francesca Pierattini Rossello, Norbert Schmitt (D), Maria Grazia Stoppa.
L’esposizione intende operare un’analisi della moderna società, soprattutto attraverso uno dei suoi aspetti che, dal Novecento, sembra essere divenuto un imprescindibile presupposto: lo scorrere veloce degli eventi, una corsa contro il tempo che sembra corrodere i rapporti interpersonali. Il titolo gioca sul significato etimologico: innanzitutto l’utilizzo del latino ci riporta ad un valore aulico (non apparteniamo forse alla categoria homo sapiens sapiens?), mentre il termine “velocipede”, da intendersi come l’antenato dell’odierna bicicletta, agli occhi di un uomo moderno rimanda necessariamente ad una condizione di lentezza. Velocità o lentezza, dunque? Il giusto sta nel mezzo: adottare la giusta velocità per tornare ad assaporare quella “lentezza” di kunderiana memoria. Nell’omonimo libro, infatti, Milan Kundera afferma: “C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo”. Se questo vuole essere il presupposto filosofico della mostra, a ciascun artista partecipante è stata lasciata la libertà di dare una “sua” definizione di “velocità”: per qualcuno essa uccide, per altri è sinonimo di guizzo creativo, e via discorrendo. Il concetto di velocità è da anni parte integrante della ricerca artistica di Giuliano Pastori (Roma, 1975). Scorci urbani, prevalentemente notturni, catturati e fissati sulla tela quasi fossero il frutto di una rapida occhiata gettata fuori dal finestrino di un’automobile che attraversa la città (Reload - 2004, Notturno - 2006, Aut 60 Aut - 2008, In viaggio - 2009) o di un treno in corsa (Light feeling - 2006). Un elogio alla velocità, dunque, che però in Natura 2 (2008) viene volutamente lasciata fuori, insieme al rumore che tanto ammaliava i Futuristi quale simbolo di progresso, da quel luogo di calma e silenzio, che trova nell’acqua e nel suo lento fluire la sua valida alternativa. Ancora velocità come sinonimo di progresso nell’opera di Mauro Martin (Pinerolo, 1954) dal titolo Torino (2008). L’automobile e la scarpa ginnica segnano il passo verso il futuro, scrivendo la storia della città che si trasforma in storia collettiva, dell’intero Paese. Se fin qui la velocità è stata interpretata come valore positivo, di crescita e di sviluppo, con Daniele Leoni (Forlì, 1978) c’è un primo cambio di direzione. In Risk of collision (2008) l’angelo, desunto dalla giottesca Cappella degli Scrovegni, a stento evita uno scontro con un aereo militare. Quello che un tempo era uno spazio fisico popolato esclusivamente da angeli, stelle e santi, oggi, nel segno del progresso, viene segnato, se non offeso, da un mezzo che peraltro ha più una valenza bellica che di messaggio di pace o di nascita, come nello specifico caso giottesco. In Fuga in Egitto (2006), invece, l’incedere lento e faticoso della Sacra Famiglia trova su una ram, simbolo di veloce comunicazione e rapido scambio di informazioni, la sua superficie di applicazione. Una sorta di ossimoro, dunque. Possono velocità e lentezza convivere? E di conseguenza: possono tradizione e modernità trovare un punto di contatto? Sì, a quanto pare. Certo è che se la velocità non viene debitamente frenata difficilmente porterà a qualcosa di buono. Con Corse clandestine (2004) Silvio Natali (Corridonia, 1943) affronta uno scottante tema, purtroppo sempre tragicamente attuale, e che si riflette nell’incoscienza di chiunque si metta al volante senza rispettare quei codici che assicurerebbero la sicurezza di tutti noi. I colori accesi e piacevoli diventano una scusante per richiamare l’attenzione su uno dei problemi più pressanti del nostro tempo. Francesca Pierattini Rossello con la sua Fluttuando vorticosamente (2009) si interroga sulla modernità, e sul prezzo che l’uomo deve pagare in cambio dei “benefici” ad essa connessi. Anzi, a ben guardare, si può davvero ancora parlare di benefici? Tutte quelle promesse legate alla tecnologia, al progresso, che fine hanno fatto? L’unica eredità che sembrano aver lasciato all’uomo moderno è uno spaesamento, che si traduce in una percezione di sospensione. Gli uomini di oggi non sentono più di appartenere a questa realtà, non ne sono più parte integrante, ma vivono lo scollamento con quanto li circonda. Come tante sfere o particelle primarie, essi fluttuano immersi in un luogo ed in un tempo indefiniti. Impossibile distinguere il giorno dalla notte, così come l’attimo da un giorno. Ed il movimento è incessante, vorticoso. L’opera diviene pertanto la rappresentazione della vita, intesa come un succedersi rapidissimo di eventi che la consumano, inghiottendoci velocemente giorno dopo giorno, “verso un limite fisiologico al quale non possiamo sottrarci: la morte”. Maria Grazia Stoppa, in Percorsi alternativi (2008), medita sul significato del tempo nel contesto dell’esistenza umana. Ogni tassello identifica un momento della sua esistenza: talora è un attimo, come un guizzo creativo o un pensiero, talaltra un periodo ben definito della sua esperienza di vita, della durata di settimane, mesi, anni. Il tempo scorre velocissimo o inesorabilmente lento, ed è la percezione personale a fungere da metronomo. Norbert Schmitt (Mainz, Germania, 1972) nella sua In Carne Actio (2008) focalizza l’attenzione sulla positività dell’azione di contro alla staticità. Soltanto un movimento costante, inteso come evoluzione, può innalzare l’uomo verso più alti lidi. Di qui l’intricato avvilupparsi di linee. Gli stessi colori, così diversi e carichi di sfumature, si fanno sinonimo delle differenti personalità che, pur condividendo lo stesso spazio, necessariamente sono l’una diversa dall’altra. È la moltitudine che diviene la rappresentazione stessa della vita. Anche il corpo nero dell’Uomo leggero (2008) di Laurence Courto (Dijon, Francia, 1953), nel suo tendere verso l’alto, tanto da elevarsi e svanire nella parte superiore dell’opera, contrappone la sua fisicità e pesantezza alla leggerezza della parola. Inoltre il suo nuotare in un magma di lettere si fa sinonimo di memoria e di conoscenza che si tramanda da tempi remoti. È ancora la modernità che poggia i suoi valori sul passato. Conclude il percorso l’opera Nient'altro che... (2009) di Alessandra Ferretti, che vuole essere un inno all’eterno movimento, quale imprescindibile presupposto all’evoluzione. “Chi si ferma è (…) perso, spacciato, stracciato, chi si ferma viene ramificato…”, recita la sua opera. Immobilismo come involuzione, quindi. L’uomo ha bisogno del movimento, inteso come equilibrato connubio tra velocità e lentezza.
Como, 29 gennaio 2009
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