Come una sorta di fil rouge la denuncia verso l’uomo, con la sua violenza e la sua insensibilità nei confronti dell’Universo, continua ad attraversare la ricerca artistica di Silvia Pisani, almeno da un biennio a questa parte. E se in un primo momento la musica rock nella sua stagione d’oro degli anni Settanta-Ottanta ha dettato lo spunto per affrontare, neanche tanto timidamente, il discorso in questione -è il caso di ricordare alcuni lavori quali Il crimine del secolo (2001) ispirato a Crime of the century dei Supertramp, o il coevo Oltre la musica, tratto da Comfortably numb dei Pink Floyd, gli stessi che con Eclipse sono stati il punto di partenza per Il potere della Luna-, la denuncia si è fatta via via sempre più esplicita. È questo il background che consente di dare alla mostra la giusta ed imprescindibile chiave di lettura. La colpa più grande che si possa attribuire all’uomo moderno è quella di avere la pretesa di migliorare la sua condizione di vita attraverso l’uso della tecnologia e le scoperte scientifiche. Ma il progresso ha un costo, che la Natura sembra dover pagare per tutti. Dal centro del mondo (2001) diviene pertanto un urlo di rabbia che sale dal profondo della Terra. Come un amalgama informe, tale forza continua a ruotare vorticosamente e come un rigetto, covato e trattenuto troppo a lungo, esploderà in superficie. È l’ennesimo “Basta!” della Natura che al di fuori dei limiti del dipinto si trasformerà in alluvioni, tifoni, eruzioni, terremoti ed inondazioni, in un inarrestabile processo di ribellione che non possiamo far finta di non vedere. L’azione di infrangere gli equilibri naturali, pertanto, avvia un processo senza ritorno che condurrà l’uomo all’autodistruzione. È questo il concetto alla base de L’occhio del ciclone (2001), mentre l’incapacità di saper distinguere tra il superfluo e ciò che invece è fondamentale per la sopravvivenza umana si riassume in Frammenti dispersi… (2002). Eppure, nonostante tanta sofferenza e distruzione, vive ancora una fiammella di speranza. Emozioni in bianco in nero (2002) esprime proprio questo: alla tempesta fa sempre seguito la quiete, e per quanto l’uomo possa distruggere, col suo irrispettoso agire, quanto di bello lo circonda, la sua volontà non sarà mai più grande di quella di Dio. Anche il coevo Bagliori lascia intravedere, lontano sullo sfondo, un incendio che probabilmente ha appena devastato tutto ciò che ha incontrato davanti al suo cammino, ma gli alberi, quelli restano vivi, possenti. In realtà gli alberi sono gli unici esseri viventi che compaiono in questa serie di lavori incentrati sul ritorno alla vita dopo la violenza della distruzione. Anche Il sentiero della vita, Il solitario incontro con la Luna, Il risveglio del fiume, Il lago dorato e Notturno, tutti del 2002, ruotano attorno alle silhouette di grandi alberi, che restano ancorati con le loro radici alla terra. Chi meglio di loro, che vivono per metà sotto la superficie terrestre e per metà al di sopra di essa, vecchi saggi delle saghe nordiche, forti e indistruttibili, può ricordarci che ancora non è finita? Torino, 21 settembre 2002
Adelinda Allegretti
11 settembre e dintorni (Volatile l’anima è destinata a scomporsi Mutilata l’anima cerca i suoi frammenti)
Ingrati sono i tempi e ingrata sei tu sprovveduta natura umana che neghi la magnifica ricerca della tua universale completezza.
Turpe è la tua monca volontà che con immondo squilibrio nel ghigno defeca spietate orde di ghigliottine suicide.
Sublime è la schietta natura mutilata dal tuo tradimento. Feroce rendi il suo destino con il tuo bisturi sulle sue vene.
Astri figli della luce più bianca che apparite noncuranti che custodite le anime e che sorridete ancora.
Astri figli della luce più pura che avete già scommesso che avete amato l’errore e che ancora vi mostrate.
Astri permettete alla resina dei vostri alberi di incollare i nostri miseri brandelli.
Luciana Cortelazzi
|