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Salomé
Mostra a tema
Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano
3-16 ottobre 2002
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Artisti selezionati: Elisabetta Antonelli, Liliana Barberis, Leandra Caccamese, Francesco Calignano, Gian Luigi Castelli, Piersandro Coelli, Mariella Difonzo, Elina Greco, Vera Gabriella Occhetti, Wanda Pinelli, Silvia Pisani, Massimo Spinelli, Sergio Unia.
“In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: “Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui”. Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodiade, moglie di Filippo, suo fratello. Giovanni infatti gli diceva: “Non ti è lecito tenerla!”. Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta. Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”. Il re fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre.” (Mt 14, 1-11)
Nessun altro periodo storico ha saputo interpretare meglio del Decadentismo la tipologia della femmina fatale, così come nessun altro artista, prima e dopo Gustave Moreau, è riuscito a fissare nella nostra coscienza l’iconografia della donna seduttrice ed ammaliatrice che sottomette l’uomo al suo volere. Ed proprio da qui, dall’idea della seduzione -ma anche del dramma che ne consegue-, che i tredici artisti selezionati per questa mostra sono stati invitati a prendere spunto. Ciascuno di essi, con la tecnica ed il linguaggio che gli sono propri, si è cimentato in un tema sicuramente complesso, ma di certo in grado di essere sviluppato su diversi livelli, prediligendo ora la danza di Salomé ora la tragica decollazione del Battista. Elisabetta Antonelli, pur nello scintillio di fondo e nell’eleganza delle donne, pone la testa recisa del Battista sul vassoio in secondo piano. Alla figura di Salomé, bella e sensuale vestita di rosso, aggiunge quella della madre, la vera burattinaia, mentre subdola le suggerisce alle spalle il da farsi. Meno drammatica l’interpretazione di Liliana Barberis: la testa del Santo passa completamente in secondo piano e tutta la composizione ruota attorno alla figura danzante di Salomé, ai veli rossi e oro che come un fuoco -simbolo di passione e peccato- le avviluppano il corpo. E a noi, testimoni silenti come gli astanti sullo sfondo, non resta che ammirarne le movenze. L’interpretazione che ne dà Gian Luigi Castelli è invece tutta giocata sul rigore geometrico. Non più sensuale né formosa, Salomé danza e ruota vorticosamente attorno ad un invisibile asse, mentre la cupidigia e la bramosia di Erode prendono forma nelle figure, opprimenti e dominanti, che gravitano attorno alla donna. Con la Salomé di Piersandro Coelli, artista a cui persino appellativi quali “provocatorio”, “ribelle” ed “ironico” vanno stretti, abbandonato ogni rigore di forma l’arte non solo acquista un valore ludico, di vero e proprio gioco, ma diviene altresì un mezzo per dispensare piccole e grandi verità. Non a caso “anche un Santo perderebbe la testa” davanti ad una Salomé tanto accattivante: non c’è aureola che tenga ad una giarrettiera… I toni rossi, avvampanti, avvolgono la Salomé di Mariella Difonzo. Sebbene intrisa di seduzione, malìa e desiderio, l’opera si conclude con una nota di drammaticità, sottolineata da una mano, impalpabile come un fumo, che, afferrata la testa del Battista, la porge come un trofeo di guerra alla donna soddisfatta. La sensualità torna a farla da padrona nell’opera di Elina Greco. La testa gocciolante di Giovanni Battista non intacca la bellezza fortemente mediterranea di Salomé. Statuaria e seducente, dagli occhi e dalla bocca truccati, quasi una “pin-up” -o sarebbe meglio dire una “velina”-, guarda senza emozioni la sua vittima, intenta solo a seguire i suoi passi di danza. Maliarda è invece la Salomé di Wanda Pinelli. In perfetto stile Art Nouveau, la ricchezza della veste rimanda alle sofisticate donne klimtiane. Esile, elegante e lussuriosa come un pavone che sfoggia la sua coda, Salomé sembra non curarsi affatto della testa recisa di Giovanni Battista, depositata ai suoi piedi e divenuta niente più che una propaggine decorativa dell’abito che indossa. Una sensualità calda caratterizza, invece, la Salomé di Silvia Pisani. È il momento della danza, quando la donna, leggiadra ed eterea, fa scorrere tra le dita i veli che le avvolgono il corpo, intrappolando lo spettatore nell’eterno gioco della seduzione. Nell’interpretazione di Massimo Spinelli Salomé, abbandonati veli e danze orientali, indossa tacchi a spillo, baby-doll e calze autoreggenti (le armi più sicure per conquistare un moderno Erode?). La testa recisa del Battista sul pavimento, del vino rosso sul tavolino ed in terra, a confondersi col sangue del Santo, e sullo sfondo un comodo divano, mentre la donna, impassibile, è intenta a rivestirsi e di lì a poco lascerà la stanza. Con Sergio Unia si ritorna alla classicità. La sua Salomé è una figura fuori dal tempo, aulica e perfetta come Afrodite. Nessun accenno al dramma, ma solo alla Bellezza come forza motrice dell’Universo. Se fin qui ci siamo occupati di Salomé, tralasciando in secondo piano la figura del Battista, discorso a parte va fatto per i lavori di Leandra Caccamese e di Francesco Calignano. L’insostenibile verità di Leandra Caccamese focalizza l’attenzione proprio sulla figura del Santo, o meglio sulla sua testa recisa, ed il titolo dell’opera si pone ai nostri occhi come una sorta di monito: cosa non sono disposti a fare gli uomini per colpa del desiderio? Francesco Calignano, peraltro utilizzando una tecnica antichissima ed in disuso, anziché mostrarci una Salomé all’opera per ottenere il suo scopo, senza mezzi termini ci mette davanti la testa, impressionante per il suo realismo, di Giovanni Battista, con tanto di pugnale ancora insanguinato. Ultima, ma soltanto perché la sua interpretazione si discosta notevolmente da quelle sin qui analizzate, l’opera di Vera Gabriella Occhetti. Né Salomé né Giovanni Battista si contendono la scena, dominata da un materico fondo scuro attraversato da sferzate di colore. Una composizione in cui aleggia il ricordo del dramma compiutosi. Solo apparentemente il Bene risulta sconfitto dal Male, mentre lampi di luce sono già lì, pronti a dire che non è finita. Ci piace concludere con una poesia di Theodore Wratislaw, datata 1894, per tornare al tema principale di questa mostra, ovvero la rinascita di Salomé in ogni seduzione d’amore: Per te, mio piacere, agile e leggera, capricciosa insolente e superba. (…) Anch’io sono servo del tuo sguardo, anch’io sono piegato sotto il tuo dominio, mio prodigio! Mio desiderio! Che continui a danzare per ottenere le teste e i cuori degli uomini. Dolce arbitra di amore e di morte, immutabile di fronte al tempo che passa nella clessidra tu tieni più leggermente di un sospiro il mondo tra le tue mani!
Adelinda Allegretti
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