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Gabriela Bernales, Enrico Ferraris, Vera Gabriella Occhetti, Silvia Pisani
Mostra collettiva
Corridoio d'Arte Mauriziano, Torino
14 settembre - 19 novembre 2000
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Tutti i lavori di Gabriela Bernales qui esposti sono studi preparatori per opere di più ampio respiro e dimensioni, che certamente avrebbero conquistato lo spettatore con i loro colori decisi, a volte persino espressionistici, ma che al contempo lo avrebbero privato di quell'immediatezza che precede la trasposizione di un'idea sulla tela. Più volte sono state giustamente sottolineate dalla critica le origini peruviane dell'artista che oggi lavora e vive a Milano. Soltanto i riferimenti culturali ad una realtà sociale tanto diversa dalla nostra possono aiutarci a comprendere lavori quali Studio preparatorio per Muerte del padre, quello per Nectar de vida o per Prófugos del destino... Credo non ci sia bisogno di tante spiegazioni per comprendere il dramma dei desaparecidos e dell'imperante povertà, qui colta nel massimo rispetto per la dignità umana, elementi che caratterizzano tanti suoi lavori. Nativa di Cuzco, sebbene figlia di un ricco proprietario terriero, Gabriela Bernales conosce bene il significato di parole quali "guerriglia", "disperazione" e "miseria". La sua denuncia sociale è forte, ma non c'è rabbia né in lei né nelle sue opere; piuttosto si può parlare di passione, che la porta, a seconda dei casi, verso tematiche molto diverse tra loro. Non vanno infatti tralasciati in questo breve excursus opere dal sapore romantico (Studio preparatorio per Enamorados e per El amor), ed altre di stampo decisamente più sensuale (per Estasiata). Tutt'altro che monotematici, i disegni selezionati per l'occasione intendono sottolineare proprio l'eterogeneità e la versatilità di un'artista che sta ottenendo sempre più significativi successi sia in Italia che in America Latina.
Realizzate appositamente per l'occasione, le opere di Enrico Ferraris rispondono ad un disegno ben preciso, ovvero quello di racchiudere i vari esperimenti sinora condotti in un unico, fluido storyboard, come testimonia anche la scelta del titolo: Riassunto delle puntate precedenti... oh no! It is happenin' again. Sebbene la collocazione frammentaria dell'opera non ne favorisca una lettura unitaria, ad un'attenta analisi ci accorgiamo che la storia narrata è in realtà una sola, e che il bordo destro di ogni singola tela rimanda a quello sinistro della successiva. In tal modo si ottiene un vero e proprio racconto, costituito da più episodi, quasi si trattasse di una pellicola cinematografica. Se da un lato l'opera qui presentata diviene l'espressione più elevata della ricerca in atto, dall'altro il giovane artista novarese vi include la maggior parte di quelle componenti che hanno caratterizzato, sin dall'inizio, la sua produzione pittorica. Motivo, questo, che comporta la ripresa degli studi condotti sulla percezione visiva inaugurata dall'artista belga Escher, e che nei lavori di Ferraris si traduce nel groviglio di corpi umani, andando metaforicamente ad aprire e chiudere l'intero percorso. I singoli episodi, volti e situazioni che si alternano all'interno della storia narrata, non sono altro che il frutto di testimonianze tanto concrete quanto nascoste, o meglio camuffate, dalla vicinanza di altri soggetti. Valga come esempio il frammento con l'uomo caduto dalla bicicletta, fiamme alle spalle. Il soggetto non è altro che il particolare di una famosa foto di repertorio dei fatti di Tien-an-Men, eppure in questo contesto esso può assumere tanti significati a seconda del bagaglio culturale di ciascuno di noi. Ciò comporterà tante chiavi di lettura quanti saranno i fruitori dell'opera.
Si intitola Speranza il ciclo che Vera Gabriella Occhetti ha espressamente realizzato per questa occasione e che vede protagonista un unico elemento: il colore. Artisticamente molto giovane -Occhetti è alla sua terza esposizione-, nelle sue tele c'è ancora tutta la carica espressiva, quel desiderio incontenibile di far emergere dalla superficie piana tutte le emozioni che si attanagliano, incontrollate e incontrollabili, nell'animo umano. Come molta arte del Novecento ci insegna, non è la giusta chiave di lettura di un'opera quella di volerne trovare a tutti i costi un significato recondito: è solo la sensazione che ne promana quella che conta. L'aver preferito una tonalità anziché un'altra suscita reazioni di tristezza o di gioia, ma al contempo quella stessa opera si può prestare ad un'interpretazione diametralmente opposta, se dialettici sono gli stati d'animo di coloro che ne fruiscono. Siamo quindi noi, con le nostre sensazioni, a determinare il senso dell'opera, a darne una valenza positiva o negativa. Eppure chi conosce Vera Gabriella Occhetti non può esimersi dal riscontrare in questo ciclo non solo una vena di poesia, ma una profonda spiritualità. I suoi blu intensi riescono ad evocare sopiti mondi interiori, una dimensione intima, lontana dalla banalità che troppo spesso accompagna le nostre azioni. Questo ciclo vuole essere un invito a guardarsi dentro ed a lasciar giungere in superficie tutto ciò che di positivo si cela nel nostro animo; un'esperienza tutt'altro che semplice e scontata, ma della quale Vera Gabriella Occhetti ha saputo fare tesoro e, con tutta la spontaneità e l'umiltà che le sono proprie, non ha esitato a renderle manifeste allo sguardo ed al giudizio di tutti noi.
In un momento cruciale della sua carriera artistica, tesa verso continui riconoscimenti da parte di pubblico e critica, le opere appositamente selezionate per l'occasione intendono non soltanto ripercorrere l'iter di Silvia Pisani ma, proprio gettando uno sguardo al passato, coglierne l'indiscutibile crescita. A partire da un tipo di produzione ancora strettamente legato al figurativismo, come testimonia la piccola Oasi (1991), passando attraverso una linea che si fa sempre più morbida, la giovane artista milanese giunge ad un lirismo astratto che via via diventa sempre più coinvolgente. Prendendo le mosse da uno studio quasi anatomico del corpo umano, come è ben evidente in L'albero della morte (1998), l'interesse di Silvia Pisani si sposta velocemente verso una dimensione che sembra annullare la forza di gravità, calando uomini e donne in un perpetuo movimento che li rende simili a spiriti. In Le radici del sole (1998), come pure in Prova (2000), il corpo umano si fa etereo, dialoga con gli elementi che lo circondano, con i quali esso vive in totale armonia, tanto da farsi coinvolgere in una danza senza tempo. Soprattutto gli ultimi lavori necessitano di grande attenzione: vanno guardati, più che con gli occhi, con lo spirito. Per comprenderli appieno ognuno di noi dovrà lasciarsi andare, farsi rapire da quel movimento vorticoso di linee e dal calore che promana dai colori giallo ocra e rosso, che sanno come spalancarci di fronte agli occhi un mondo del quale ciascuno vedrà ciò che vuol vedere, perché le suggestioni, i ricordi e le emozioni che i dipinti di Silvia Pisani riescono a suggerire sanno essere infiniti...
Adelinda Allegretti
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