C’è più di una costante nella ricerca artistica di Laurence Courto che si ripete ed al contempo si rinnova nell’arco degli anni: l’interesse per il regno animale, da un lato, e l’utilizzo di forme rarefatte, dall’altro, quasi a voler raschiare la superficie della tela o del foglio fino al punto in cui la materia, labile, riesce almeno in parte ad affiorare. Immagini senza tempo che sfuggono a qualsivoglia intento di classificazione cronologica. E se nella produzione più recente la figura umana è venuta ad aggiungersi ad un repertorio delineato perlopiù da antilopi, bisonti, ma anche cani, formiche, linci e conigli, la sensazione che ne deriva è sempre la medesima: esseri viventi che sembrano provenire da quello che Jung per primo definì “inconscio collettivo” e che la fisica moderna tende a classificare come “ordine sub-manifesto dell’essere”. Le forme di vita evocate dalla Courto, dal sapore ancestrale e moderno allo stesso tempo, convivono in un’unica dimensione. Il neuroscienziato olandese Hermes Romijin ritiene che le nostre memorie non sono immagazzinate nel cervello, ma piuttosto nel già citato ordine sub-manifesto dell’essere, che è oltre lo spazio-tempo. Un livello virtuale della fisica, dove si trovano la nostra coscienza, la non-località (ovvero l’assenza di spazio-tempo e l’unità di coscienza), il deja-vu (quel fenomeno per cui percepiamo di essere stati in un luogo o in una situazione anche se ciò non si è realmente verificato) e i dati collettivi. Una lettura azzardata? Per alcuni sicuramente, ma a noi piace pensare che l’Arte sia in grado di travalicare ogni barriera e di attingere ad un livello più profondo di coscienza, in cui il passato, il presente ed il futuro sono in un continuum che è sempre esistito. Torino, 20 marzo 2005
Adelinda Allegretti
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