“Sguardo fisso, espressione assente, mille pensieri tormentano il cervello alla ricerca di una via d’uscita, uno sbocco che dia finalmente pace ai deliri di idee che affollano la mente. Quello che si avverte è la presenza di un’energia dirompente pronta ad esplodere, un senso d’inquietudine, angoscia, frustrazione, rabbia, il bisogno di un qualcosa che non si riesce a soddisfare. Un’esigenza che diventa quasi incontrollabile e solo la scarica di questa energia impedirebbe di impazzire.” É con queste parole che Ruben De Luca descrive il lungo e tormentato processo creativo che precede quell’”illuminazione” che porterà da un lato l’artista a realizzare la sua opera e dall’altro l’omicida ad uccidere la sua vittima. Può anche sembrare blasfemo paragonare il travaglio creativo di Michelangelo per la Cappella Sistina o per la tomba di Giulio II alla pianificazione di Charles Manson dell’assassinio Tate-La Bianca avvenuto nel 1969 - un raccapricciante omicidio di gruppo in cui rimase vittima anche Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, incinta di 8 mesi - , eppure l’impeto, la foga, e poi la quiete, il piacere misto a soddisfazione e fierezza di sé ad opera compiuta sarebbero, a detta di taluni criminologi, gli stessi. Fino ad un certo punto, però, aggiungiamo noi. Fino al quel bivio ultimo, che salverà l’artista portandolo a creare un’opera d’arte unica ed irripetibile. La differenza a questo punto è palese: l’assassino distrugge, l’artista crea. In quest’ottica le opere di Massimo Spinelli, dai ritratti di Ian Brady e Myra Hindley, a quello di Andrei Chikatilo e dei membri del Vampire Clan, tutti personaggi che si sono macchiati del più orribile dei delitti seviziando ed uccidendo bambini e ragazzi, pongono l’accento sull’alienazione del serial killer, sul suo vivere in una realtà altra, “virtuale”, come la definisce lo stesso artista. Alienazione e realtà virtuale: i termini che da sempre accompagnano la ricerca artistica di Spinelli e che idealmente collegano tra loro le opere selezionate in quest’occasione. Difficile a credersi, eppure è ancora possibile individuare un barlume di speranza nelle parole dell’artista quando afferma che il mondo virtuale che il serial killer genera attorno a sé “resta sempre tale e non diviene mai reale” e che “la vita è sempre lì a ricordargli che in fondo ha vinto lei”. Roma, 22 settembre 2004
Adelinda Allegretti
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