Dall’Aida, opera in quattro atti di Giuseppe Verdi rappresentata per la prima volta nel 1871, prende spunto l’intero ciclo di lavori realizzato da Valeria Tomasi in occasione della sua prima mostra personale a Milano. Non è certo facile confrontarsi con un soggetto tanto amato e soprattutto universalmente noto, ma non lo è neppure affrontare una trasposizione su tela di una storia pensata e nata per essere rappresentata e cantata su un palcoscenico. Ma al di là della scelta coraggiosa, la Tomasi ha saputo, con l’umiltà e la freschezza che le sono proprie, ridare nuova linfa ad una storia dai connotati ben saldi e che sembrerebbe lasciare poco spazio a nuove interpretazioni. Più che all’amore tra Aida e Radamés, tanto contrastato che li porterà alla tomba, e certo l’aspetto più ovvio di tutta l’opera, la Tomasi punta l’attenzione sulle due figure femminili, la già citata principessa etiope ed Amneris, figlia del Faraone. Entrambe innamorate dello stesso uomo –Radamés è un comandante dell’esercito egiziano, e come tale combattuto tra l’amore per Aida e la fedeltà al Faraone, mentre non ricambia affatto l’interesse di Amneris –, le due donne divengono l’alibi per raccontare l’animo muliebre, tanto affascinante quanto complesso ed intricato labirinto di emozioni e sensazioni. Così la Gelosia di Amneris mette in scena il suo doppio che, all’orecchio, le suggerisce parole di inganno e vendetta da perpetrare ai danni della rivale. Un gesto immediato, che nella nostra tradizione iconografica trova un insuperabile precedente nella Calunnia botticelliana. Inoltre con un abile primo piano la Tomasi delimita la superficie pittorica al doppio volto, non permettendoci di vedere altro e limitando pertanto al taglio dei capelli ed al trucco dell’occhio ogni possibile chiave di lettura. Ma questa sorta di close up diviene anche sinonimo di quell’attimo di profonda introspezione, del momento in cui la sua stessa insicurezza suggerisce ad Amneris la vendetta. Un bisbiglio lento, appena percettibile. In Principessa etiope, invece, i felini ed il paesaggio, per quanto rarefatto, contribuiscono con le loro cromie calde, di terre e sabbia, a rimandare agli occhi di chi guarda la luce satura del continente africano, la sua ricchezza e fertilità, ma anche il suo lato più aspro e selvaggio. Dal punto di vista della tecnica la Tomasi riesce ad abbinare al figurativo, così come nel corpo elegantemente disteso di Aida e dei due animali, ampie e calibrate zone di puro astrattismo, in cui il colore funge da co-protagonista, e lasciando proprio a quest’ultimo il compito di guidare le nostre percezioni verso più alti lidi. Il momento ritratto, in una chiave di lettura più strettamente legata all’opera verdiana, si rifà all’attesa: Aida aspetta di essere salvata dall’esercito del padre, Amonasro, poi con lui continua ad essere ostaggio del Faraone, ed alla fine aspetta la morte con Radamés. Quest’opera diviene, allora, la messa in atto della condizione femminile: l’attesa. Del padre, dell’amato, della morte. Con uno spirito di regale accettazione Aida affronta il suo destino, rivolta, serena ed elegante, verso l’incognito futuro. Con Agili sorveglianti la Tomasi spalanca la porta su un mondo che, da sempre, caratterizza la sua ricerca pittorica, e che trova nell’utilizzo della decorazione un aspetto fondante del suo stile. Il divertissement si fonda con lo studio accurato dello spazio e delle forme, dando origine ad immagini di grande lirismo. I felini, che sovente popolano non solo le tele ma l’intero mondo fantasioso e colorato della Tomasi, fatto anche di scultura e di illustrazione, qui hanno una doppia valenza: di compagni inseparabili di Amneris, ma anche di guardiani della tomba che suggellerà l’amore tra Aida e Radamés. Leggerezza ed eleganza, infine, divengono i protagonisti di Danzanti, il dittico con cui idealmente si apre il secondo atto dell’opera verdiana, quando tra musica e danze festose Amneris induce con l’inganno Aida a dichiarare il suo amore per Radamés (“Chi mai fra gl'inni e i plausi erge alla gloria il vol”). Le figure femminili dalle linee sinuose si muovono come evanescenti fuscelli mossi dal vento. È l’opera tragica che torna a rivivere, rivisitata ed eterea, in chiave fiabesca. Roma, 28 aprile 2009
Adelinda Allegretti
|