Sperimentare. È questo l’imperativo di Giancarlo Stoppa, giovane artista della provincia di Cuneo che per la prima volta si confronta col pubblico milanese. La sua ricerca, avviata sin dal 1993 con le più tradizionali tecniche pittoriche, a partire dal 1999 si indirizza verso l’utilizzo di materiali presi in prestito dall’edilizia. Questo, unitamente all’analisi ed allo studio di opere di artisti legati al linguaggio informale, in primis Burri, Hartung, ma anche Afro e Vedova, determina in Stoppa un cambiamento di tendenza, ed i dipinti ancora strettamente figurativi lasceranno il passo ad una pittura decisamente personale, completamente svincolata dalla rappresentazione oggettiva della realtà. Proprio a questo periodo appartengono I segni del corpo I (2000) ed il coevo Totem I, in cui intonaci e colle si mescolano sino a creare un amalgama materico, aggettante, quasi un altorilievo, sul quale, in fase di asciugatura, applicare il colore. È con la fine del 2000 che il bitume entra imperante nella ricerca di Stoppa. È l’inizio di una nuova fase, tuttora in via di sviluppo e destinata a chiudersi soltanto con l’esaurimento del proprio potenziale creativo, in cui egli interviene anche con violenza su tale guaina: tagliato, inciso, quasi scarnificato in alcuni punti, bruciato e lasciato gocciolare (e qui il pensiero vola alle combustioni di Burri ed al dripping di Pollock), il bitume acquista una nuova consistenza, torna a rivivere sotto una nuova forma. La scelta di rifinire tali lavori mediante l’uso di lacche industriali non è casuale, in quanto se da un lato esse garantiscono al supporto materico così ottenuto una particolare luminescenza, dall’altro ne sembrano essere il giusto corollario. Prodotti dell’industria che, debitamente lavorati, sono trasformati dalla creatività di Stoppa in qualcosa di “altro”: ormai svincolati da qualsiasi originaria funzione, ed accompagnati talvolta da brevi composizioni liriche, essi divengono cibo per l’anima e per la mente.
Adelinda Allegretti
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