Tumulilande. È da qui, dalla terra, che prende avvio la complessa ricerca artistica di Maurizio Luerti. Plasmata e modificata dall’uomo, proprio come i tumuli di zolle d’erba di tolkieniana memoria, dalla primitiva manipolazione della terra alla sublimazione del pensiero il passaggio è lungo, interminabile. È la lenta evoluzione umana e, come un archeologo che scava nella memoria, Luerti ne ripercorre le tappe fondamentali. Non stupiamoci allora se il Primo reperto (1992), realizzato non a caso interamente con la creta, reca in sé segni appartenenti ad un immaginario linguaggio arcaico, formalmente desunto da testimonianze precolombiane e poi da queste fantasticamente elaborato. Solo appena accennati i tocchi di colore. Man mano che la ricerca avanza la creta lascia lo spazio al das, che Nel centro – prima fusione (1993) arriva a formare un unico corpo col rame. Le forme si mantengono pulite, essenziali, ancora arcaiche eppure intrise di connotazioni simboliche, come nella coeva Stele. Un ulteriore salto evolutivo avviene con Le tavole (1994): fa la sua apparizione il cemento, ma quell’alfabeto di arcaica ed arcana memoria è ancora lì, peraltro in una rinnovata valenza evidenziata da chiari rimandi alla Legge divina. Con il passaggio al nuovo millennio la luce fa la sua comparsa. Contaminazione (2002) ne è il primo esempio ed è qui che compaiono i leds e, conseguentemente, l’effetto luminoso. Ma Luerti non si è fermato a questo. In realtà tale effetto è solo un mezzo per far sì che l’opera interagisca col mondo circostante. È il software dedicato l’unico, vero protagonista dei nuovi lavori, quello che lo stesso Luerti definisce ratio operandi e che acquisisce informazioni, le memorizza e le rielabora sotto forma di nuove soluzioni luminose. È l’arte che si fonde con l’elettronica. Un’evoluzione inarrestabile e destinata ad un nuovo capitolo, in cui le singole opere saranno in grado di acquisire memoria elettronica e di comunicare tra loro. La ricerca continua.
Adelinda Allegretti
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