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Paola Bisio. Silenzio, e poi... Omaggio a Duras
Mostra personale
Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano
29 maggio - 18 giugno 2003
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Non capita sovente di lavorare con artisti che fanno della letteratura il punto di partenza per la loro ricerca pittorica. Eppure, nel caso di Paola Bisio, il connubio tra la forza evocativa della parola e quella del colore è imprescindibile per una giusta interpretazione della sua più recente produzione. Come già accaduto con La tempesta di William Shakespeare, anche in occasione di questa prima mostra milanese l’attenzione si focalizza sulla scrittura, quella di Marguerite Duras. Scrittrice -etichetta che le va stretta, vista l’influenza esercitata sul pensiero di generazioni di donne-, la Duras, la cui stessa vita si è identificata a tal punto con la sua opera, tanto da offuscare quella sottile linea di confine che separa la sua biografia da quella dei suoi personaggi, non ha mancato di affascinare la Bisio. Ne deriva un ciclo di lavori estremamente complesso perché bisognoso di un duplice livello interpretativo: uno pittorico ed, appunto, uno più strettamente letterale. Lo stesso percorso espositivo è pensato in relazione a questa doppia valenza. Esso ha inizio con due trittici accomunati dall’elemento marino. L’uomo atlantico e L’amante della Cina del Nord -inutile dire che i titoli riflettono quelli dei romanzi della Duras- diventano il pretesto per fissare sulla tela la potenza, ora salvifica ora distruttrice, del mare. Ne L’uomo atlantico le acque che scorrono in superficie sono di un azzurro intenso. Le onde sembrano rincorrersi, ma non c’è nulla di giocoso in tutto questo. Basterà scendere con lo sguardo, giù, sempre più giù, fino a schiantarsi contro un substrato duro come la roccia, greve, “qualcosa che sembra reggere il mondo”, così lo definisce la Bisio. A fronteggiarlo è il trittico ispirato a L’amante della Cina del Nord, all’incessante lotta contro il mare che, silente e puntuale, penetra nel terreno coltivato. A nulla servono i tronchi di paletuviere, che si stagliano sullo sfondo del cielo notturno, infilzati nella terra nella vana speranza di rinforzare la diga. Non basteranno neppure le pietre, né i blocchi di terra: la marea si insinuerà e distruggerà tutto. Pazzia, dolore, rammarico e, alla fine, rassegnazione, tutto raccontato ed espresso con una tavolozza cromatica ridotta a poco più che ad un monocromo. Eppure la Duras nei suoi romanzi lascia sempre una via di fuga. “Unica uscita possibile è l’amore carnale, il coinvolgimento di tutto l’essere che permette il superamento dell’impasse, del dolore di vivere”, afferma la Bisio. Ecco allora che “la donna in abito lungo” entra nella scena e solo l’amore, persino quello non corrisposto, carico di passione, che tutto travolge, rende possibile la catarsi. È il tripudio del rosso. Roma, 18 maggio 2003
Adelinda Allegretti
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Rassegna stampa |
- Il Giornale, n. 126, anno XXX, p. 51, giovedì 29 maggio 2003
- Il Giorno, n. 125, anno 48, p. XXI, giovedì 29 maggio 2003
- Il Giorno, n. 127, anno 48, p. 10, sabato 31 maggio 2003
- Libero, n. 130, anno XXXVIII, p. 26, giovedì 29 maggio 2003
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