È interamente dedicata alla città, ai suoi infiniti contrasti, la mostra con cui Matthias Ritter affronta per la prima volta il pubblico italiano, e lo fa con un vero e proprio omaggio a Brema, sua città d’origine, ed a Milano, in cui attualmente vive e lavora. Non sono certo le grandi piazze, né i monumenti più noti, quelli sui quali si sofferma l’obiettivo dell’artista tedesco, ma scorci urbani spesso passati inosservati semplicemente perché fuori mano, lontani dalle insegne luminose che alludono ad abiti griffati e ad oggetti di marca, ma che sovente si trasformano in immagini di profondo lirismo. Un giardino abbandonato, nel pieno centro di Milano, diviene il pretesto per affondare lo sguardo in quegli oggetti, ora nient’altro che spazzatura, ma che in un passato neanche troppo lontano sono appartenuti a qualcuno, che li ha usati e che in qualche modo ne ha giustificato l’esistenza. Oggetti di uso quotidiano e che, proprio perché tali, appartengono alla memoria collettiva. E come non cogliere ancora una nota di lirismo in una piantina esile cresciuta sull’aridità di un muro e che pur di vivere rimane avvinghiata a quello che per noi è solo qualcosa di fatiscente, magari da abbattere, ma che per lei è l’unico modo di concepire l’esistenza? Le immagini appositamente selezionate per questa prima mostra milanese ci spingono ad andare oltre l’oggetto raffigurato, a cogliere la bellezza anche laddove apparentemente non ve ne è traccia. Se di bellezza si può parlare a proposito di un palazzo in ristrutturazione, coperto da impalcature e da teli che si increspano impercettibilmente al soffiare del vento, allo stesso modo la metropolitana milanese che riparte lasciandosi dietro i binari deserti e la scia delle sue luci, si carica di significati ben più profondi, divenendo, più che un omaggio alla civiltà del progresso, allusione alla caducità della vita che troppo spesso ci scorre veloce davanti agli occhi, come l’ultimo treno sul quale non abbiamo fatto in tempo a salire. Torino, 10 marzo 2002
Adelinda Allegretti
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