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Proposte contemporanee per collezionisti in erba
Mostra collettiva internazionale
Museo Civico di Alatri (FR), Palazzo Gottifredo
6 novembre 2010 - 7 gennaio 2011
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Artisti selezionati: Wim Adema (NL), Simone Ari (D), Jörg Bollin (D), Laura Bottaro (I), Alexander Calder (USA), Daniela Cappiello (I), LeoNilde Carabba (I), Marc Chagall (RUS), Laura Del Vecchio (I), Alfredo Di Bacco (I), Sabrina Faustini (I), Paola Ferraris (I), Eleonora Fossati (I), Annamaria Gagliardi (I), Alberto Giacometti (CH), Juan Ángel Gómez González (E), Silvia Gómez González (E), Guillermina Rivera Hernandez - GUIKNI (MEX), Guadalupe Luceño (E), Inge Mair (A), Marco Marcarelli (I), Marino Marini (I), Susannah Martin (USA), Henri Matisse (F), Rocco Pellegrini (I), Ivano Petrucci (I), Pablo Picasso (E), Angela Policastro (I), Cristina Rodriguez (CO), Brigitta Rossetti (I), Sandra Sfodera (I), Roberto Tigelli (I), Joseph Virgone (F), Petra von Kazinyan (D), Andy Warhol (USA)
La mostra è patrocinata dalla Città di Alatri
Quando mi si è paventata la prospettiva di organizzare una mostra presso il Museo Civico di Alatri, ho dovuto pensare a che tipo di esposizione proporre. Non conoscevo Alatri, né tantomeno gli interessi dei suoi abitanti, ma a giudicare dall’attività attenta e costante della biblioteca e dalla nutrita programmazione di eventi ed appuntamenti culturali, ne ho dedotto che il modo migliore per “fare le presentazioni” fosse quello di offrire una grande mostra-contenitore, in cui mescolare stili e contenuti, nazionalità e punti di vista, in modo tale da permettere ad ogni alatrese di ritrovarvi qualcosa che potesse stuzzicarne la curiosità ed il gusto artistico. Questa idea di offrire tanti prodotti diversi l’uno dall’altro, quasi come in una Fiera d’arte contemporanea, mi ha dato inoltre lo spunto per affrontare una questione con cui non tanto il circuito museale italiano, quanto quello delle gallerie private, prima o poi, dovrà fare i conti, ovvero la scarsissima frequentazione da parte dei giovani e delle famiglie. “Proposte contemporanee per collezionisti in erba” vuole essere, nella sostanza, un invito ad osare. A differenza di quanto accade nel Nord Europa, in cui le famiglie, spesso con numerosa prole al seguito, sono assidue visitatrici di gallerie private, in Italia ciò non avviene. Perché? Fondamentalmente perché credo che noi non abbiamo abbastanza educazione visiva all’arte contemporanea, che ci illudiamo di conoscere alla perfezione Caravaggio ma non sapremmo da dove cominciare per leggere e decodificare un’opera di Merz, figurarsi la ricerca di un artista vivente che probabilmente alcun manuale citerà mai. Abbiamo la malsana attitudine di vivere l’arte esclusivamente come un evento élitario, fatto di vernissage a numero chiuso e pedanti disquisizioni concettuali. L’arte è “anche” questo, ma non “solo” questo. L’arte è anche divertimento, è spunto di riflessione, è convivialità, è curiosità, è un’esperienza che non si ripete mai nello stesso modo, ma che cambia a seconda di un’incredibile quantità di variabili: di che umore siamo, se siamo da soli o in compagnia, se piove o c’è il sole, se c’è molta gente attorno a noi o pochi altri visitatori, se siamo di fretta o con la prospettiva di poterci soffermare tutto il tempo che vogliamo davanti ad un’opera, e così via all’infinito. L’arte non è per pochi eletti, ma per chiunque abbia la volontà e l’interesse di fare un primo passo, di andarle incontro. E potremmo persino correre il rischio di innamorarci di lei. A quel punto dovranno trascinarci via a forza da Musei e gallerie. Non mi prefiggo ciò con la mia mostra -sarei una pazza-, ma instillare un po’ di curiosità e far venire la voglia di varcare una soglia museale, sì. Allora potremmo persino scoprire che spesso un poster costa più di una litografia originale di un Maestro del Novecento, e che un “dipinto” dozzinale, fatto in serie e venduto nei supermercati dell’arredamento, non eguaglierà mai l’unicità di una fotografia, di un quadro o di una scultura realizzate da “artisti veri”. Mi auguro che questa mostra dia un piccolo imput affinché insospettabili visitatori, magari poco avvezzi all’arte contemporanea o completamente digiuni di qualsivoglia nozione storico-critica, inizino a guardare con occhi nuovi non tanto le opere esposte, quanto se stessi. Perché la verità è che chiunque di noi può diventare collezionista. Collezionista non si nasce, lo si diventa. In genere si comincia per caso, acquistando il pezzo più piccolo disponibile sul mercato di quel determinato artista che, chissà perché, ci piace o ci incuriosisce tanto, o semplicemente perché quell’opera starebbe divinamente in soggiorno. Tutto qui. Non bisogna certo avere una laurea in Storia dell’Arte per capire cosa ci piace; soprattutto, in Arte non ci sono gusti sbagliati. E per aiutare nella scelta il visitatore, potenziale futuro collezionista, ho selezionato nomi da manuale (Alexander Calder, Marc Chagall, Alberto Giacometti, Marino Marini, Henri Matisse, Pablo Picasso, Andy Warhol) ai quali si aggiungono altri artisti certamente meno noti, ma tutti accomunati da un unico, solo, filo conduttore: la straordinaria bravura. Provengono da contesti culturali diversi tra loro: Germania (Simone Ari, Jörg Bollin, Petra von Kazinyan), Spagna (Guadalupe Luceño, Juan Ángel Gómez González e Silvia Gómez González, omonimi. Solo una coincidenza), Austria (Inge Mair), Olanda (Wim Adema), Francia (Joseph Virgone), ma anche Stati Uniti (Susannah Martin), Colombia (Cristina Rodriguez) e Messico (Guillermina Rivera Hernandez – GUIKNI). A questi, ovviamente, si aggiungono artisti italiani: Laura Bottaro, Daniela Cappiello, LeoNilde Carabba, Laura Del Vecchio, Alfredo Di Bacco, Sabrina Faustini (l’unica alatrese selezionata), Paola Ferraris, Eleonora Fossati, Annamaria Gagliardi, Marco Marcarelli, Rocco Pellegrini, Ivano Petrucci, Angela Policastro, Brigitta Rossetti, Sandra Sfodera, Roberto Tigelli. Ciascuno di loro avrà una sua storia da raccontare, e lo farà catturando la nostra attenzione con la vivacità cromatica o con la raffinata eleganza di una ristretta tavolozza, con la bravura del ritratto o con la perfezione anatomica, con l’omaggio al passato o la spietata critica alla società moderna, con una pennellata attenta al particolare o gestuale. Adelinda Allegretti Como, 30 ottobre 2010
Lo spazio Il Museo Civico di Alatri è lo scrigno dei tesori che nel corso dei secoli sono stati rinvenuti nel ricco territorio alatrense, testimoni e memoria dalla preistoria all'età contemporanea delle attività politiche e culturali della città di Alatri. La sezione epigrafica, ospitata al pianterreno di Palazzo Gottifredo, offre la documentazione originale della storia pubblica e privata dell'antica Aletrium. Le epigrafi sono state oggetto di restauro insieme ad un altro pregevole reperto, un mosaico pavimentale policromo con decorazione geometrica, costituita da svastiche a doppio giro e quadrati, in prospettiva, proveniente dall'area urbana e datato tra il 90 e l'80 a.C.. Al primo piano del Palazzo si può ammirare una ricostruzione del tempietto etrusco-italico in scala 1:10, riproduzione fedele del modello in scala reale conservato presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia; in una saletta attigua un audiovisivo illustra la storia del rinvenimento, risalente al 1882.
Tempietto Etrusco Italico Ad 1 km a nord di Alatri, lungo la strada che portava a Guarcino, in località La Stazza, tra le alture di monte Secco e monte Cappuccini, l'ingegnere tedesco Bassel, alla ricerca dei resti dell'acquedotto costruito nel II secolo a.C. dal censore Lucio Betilienio Varo, rinvenne nel 1882 una base di colonna e vari frammenti di terrecotte architettoniche. Sul terreno in lieve declivio, di proprietà del conte Stanislao Stampa, sorretto da un muro in opera poligonale, successive indagini archeologiche della direzione generale delle antichità e delle belle arti dirette nel 1889 da Adolfo Cozza e da Herman Winnefled, in collaborazione con l'Istituto Archeologico Germanico, portarono alla luce resti di un tempio etrusco, successivamenti reinterrati. I reperti archeologici furono trasferiti nel costituendo Museo Etrusco di Villa Giulia, dove sono attualmente esposti: il deposito votivo era costituito da statuette che raffigurano simbolicamente l'offerente o la divinità oltre ad un ex voto raffigurante un bovino ed alcune monete di età repubblicana. Si trattava quindi di un piccolo santuario extraurbano che in base alla decorazione architettonica è stato datato tra il II e III secolo. Ed è in questo periodo, precisamente tra il IV ed il II secolo che nell'Italia centro-tirrenica si diffonde, dall'Etruria nel Lazio ed in Campania, l'uso di donare agli dei dei ex voto in terracotta. In seguito alla scoperta Adolfo Cozza realizzò un'accurata ricostruzione in scala 1:10 in legno e terrecotte policrome che si conserva oggi nei magazzini del Museo della Civiltà Romana: fu la base per il modello in scala reale edificato tra il 1890 e il 1891 che si trova in un cortile del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Resti messi in luce dagli scavi furono interpretati come di un tempio con una cella di m 6,39, un pronao di m 6,79 ed una larghezza di m 7,925; le due colonne frontali dovevano avere un diametro inferiore ai 76 cm; dalle tracce sul terreno il Cozza ipotizzò un originario tempio tuscanico con cella e pronao, mentre in una seconda fase doveva essere stato aggiunto un portico sul retro. Il tempio era rivolto a sud, verso Alatri, mentre il lato ovest era rivolto sulla valle, corrispondente nell'iscrizione del censore L. Betilieno Varo al campum ubei ludunt "campo dove giocano". Elementi della decorazione templare sono le lastre di rivestimento che offrono motivi floreali, come palmette affrontate o disposte in serie, o geometrici, come il meandro. L'architrave che poggia sulle due colonne del frontone presenta un rivestimento di lastre decorate con palmette affrontate destre e sinistre, dipinte in bianco, rosso e nero. Gli intrecci di palmette, la cornice con meandro traforato, oltre grifi acroteriali sono gli elementi decorativi più significativi. Le antefisse del tempio di Alatri, che nella decorazione architettonica dei templi costituivano l'ultimo coppo del tetto sul margine della gronda, raffigurano Artemide, la Signora delle belve, in greco Potnia Theron. Assimilata a Diana dalla religione romana in questo caso la Potnia, con evidenti tracce di policromia, è raffigurata come dominatrice di due leonesse affrontate. Originariamente venerata come divinità dei boschi e della fecondità della natura, la Potnia personifica il magma di forze primordiali residenti nelle viscere terrestri, condensazione materiale indifferenziata dell'energia spirituale. Presso il Museo Civico di Alatri è possibile ammirare una fedele ricostruzione in scala 1:10 del tempietto Etrusco-Italico.
Restauro di un mosaico pavimentale di età romana Il mosaico pavimentale, proveniente da una domus dell'area urbana, si presentava in forma frammentaria ed era composto da dodici pezzi di varia dimensione "staccati a massello" (rimossi con la struttura di supporto dalla loro originaria collocazione). Il mosaico è costituito da tessere in materiale lapideo policromo di forma quadrangolare e triangolare di dimensioni e spessore molto diversi (lunghezza lato: 5-12 mm; spessore: 4-10 mm) collocate secondo un disegno geometrico assai preciso: si tratta di una decorazione geometrica a meandro di svastiche a giro doppio e quadrati, in prospettiva. In un'area limitatata si trovano alcune tessere rettangolari molto allungate più grandi (da 10 a 20 mm) rispetto alle altre che costituiscono il manto musivo, con tipica decorazione "a canestro". La struttura di supporto era costituita da tre strati di spessore non omogeneo. A partire dal basso si trovava malta con ghiaia (spessore: 20-50 mm); al di sopra vi era malta con ghiaia mista a pietrame grande di forma irregolare (spessore: 80-120 mm) seguito ancora da malta con ghiaia (spessore: 30-40 mm). Su quest'ultimo strato è stata stesa la malta sottile e bianca nella quale sono state inserite le tessere. Nelle zone nelle quali risultano mancanti tessere e malta di allettamento è visibile inciso il disegno preparatorio che guidava il mosaicista in questa fase del suo lavoro. I frammenti avevano uno spessore massimo di 150 mm. Lo spessore assai limitato rispetto a quello degli altri pavimenti antichi e alle indicazioni fornite dalle fonti era certamente consentito dalla scarsa estensione del mosaico. Il pavimento ha un profilo "a dorso d'asino": la sezione trasversale è approssimativamente un arco di cerchio (freccia: 4-5 mm). La regolarità della superficie nelle zone meno deteriorate indica che il tessellato è stato levigato con abrasivi dopo la messa in opera.
Restauri precedenti Non sono riconoscibili interventi di restauro antichi (lacune stuccate oppure integrate con tessere di forma o colore diversi da quelli originali) da riferire al periodo in cui il mosaico era ancora in uso. In un momento imprecisato il mosaico è stato "staccato a massello" in pezzi di varia dimensione e trasportato nel Museo. Documentazione fotografica d'archivio mostra il mosaico assai più completo rispetto alla situazione attuale con le lacune stuccate a neutro. In una fase successiva il mosaico è stato nuovamente smembrato ed è probabile che, proprio in questa occasione, alcuni frammenti siano andati dispersi. Lungo i bordi si trovano delle ampie stuccature realizzate con un mastice molto tenace.
Stato di conservazione I frammenti si presentavano in pessime condizioni di conservazione. Depositi incoerenti (polvere e terriccio) e coerenti di varia natura (incrostazioni calcaree, malte cementizie, vernici, resine) coprivano il manto musivo rendendo assai difficile la lettura del disegno e l'apprezzamento dei colori. Erano inoltre diffuse tracce di ossido di ferro. Molte tessere erano fratturate, scheggiate, disgregate e, soprattutto nelle zone perimetrali, mobili per il degrado della malta di allettamento. A causa della natura molto varia del materiale lapideo di cui è costituito il mosaico, le tessere di alcuni colori si presentano in condizioni assai peggiori rispetto a quelle adiacenti. Le tessere verde chiaro sono tutte assai deteriorate, in alcuni casi quasi polverizzate; quelle gialle e quelle rosse mostrano invece la tendenza a fratturarsi e a scagliarsi.
L'intervento di restauro L'attuale intervento di restauro mirava fondamentalmente a risolvere i problemi di conservazione di questo mosaico ed in secondo luogo ad una adeguata presentazione estetica in occasione del nuovo allestimento museale. Per evitare perdite di materiale durante la pulitura il manto musivo è stato consolidato con infiltrazioni di resine acriliche disciolte in solvente organico o in emulsione acquosa. Il mosaico è stato quindi spolverato con pennelli morbidi per rimuovere i depositi incoerenti e quindi pulito con impacchi di polpa di carta e carbonato di ammonio che hanno permesso di asportare polvere grassa, tracce di pittura e depositi organici. Cemento e incrostazioni calcaree sono stati eliminati meccanicamente con bisturi e microsabbiatrice (strumento che emette un finissimo getto di ossido di alluminio). Le operazioni successive sono state effettuate in previsione dell'applicazione su un supporto. I frammenti sono stati protetti velandoli con tele di cotone e canapa fatte aderire con resina acrilica in solvente organico. Per ottenere una superficie piana è stato steso sulla tela un sottile strato di malta di calce e polvere di marmo. Questa malta aveva la funzione di creare una controforma che proteggesse durante le operazioni successive il profilo convesso dei pezzi e le zone sottolivello in corrispondenza delle cadute delle tessere e della malta di allettamento. I pezzi sono stati quindi capovolti ed assottigliati fino ad uno spessore di 45-50 mm togliendo i due strati inferiori. Il retro è stato consolidato con infiltrazioni di resine acriliche e livellato con una malta leggera costituita da grassello di calce, laterite (argilla espansa), pozzolana e resina acrilica in emulsione acquosa. Questa malta oltre a regolarizzare il retro ha la funzione di agevolare in futuro l'asportazione del mosaico dal supporto. Una volta completato l'asciugatura della malta i frammenti sono stati nuovamente capovolti, svelati, adagiati e incollati sul supporto infiltrando della resina epossidica attraverso dei solchi predentemente praticati sul retro. Il supporto è costituito da un pannello in nido d'ape di alluminio e vetroresina (spessore: 25 mm) rinforzato da una struttura in profilati di alluminio (spessore: 50 mm). Il supporto, al quale è stata data una leggera inclinazione per consentirne una migliore lettura, è munito lungo uno dei lati lunghi di quattro ruote e sul lato opposto di quattro manici per consentire piccoli spostamenti. Le zone lacunose sono state quindi stuccate a neutro (malta di profondità: grassello, laterite e pozzolana; malta superficiale: grassello e sabbia colorate). Le lacune chiuse del tessellato sono state integrate realizzado delle finte tessere con una malta di calce e polvere di marmo poi colorate leggermente sottotono ad acquarello.
Conclusioni Il restauro ha permesso un'ipotetica ricostruzione del pavimento musivo, che doveva probabilmente ornare l'ingresso di una domus di età repubblicana. Il motivo decorativo del meandro assonometrico è reso mediante la distribuzione dei toni chiari e scuri dei colori rosso, verde e giallo, con un verde scuro su cui si staglia la prospettiva geometrica. Tra i resti di mosaici trovati sotto le fondazioni di un peristilio a sud ovest della "Casa di Livia" sul Palatino, a Roma, troviamo un confronto con un esempio molto simile al mosaico di Alatri. In mancanza di dati precisi sul contesto di rinvenimento archeologico la datazione del mosaico può essere basata sull'aspetto stilistico. La decorazione a svastiche e quadrati in prospettiva si data al periodo di transizione tra I e II stile pompeiani o alla prima parte di quest'ultimo. Pertanto si propone una cronologia tra il 90 a.C. e l'80 a.C., in età sillana, quando Aletrium aveva appena ottenuto la condizione municipale.
Sezione Epigrafica Rinvenuta in Piazza S. Maria Maggiore, insieme con "un condotto di metallo fuso entro una fodera di piombo incassato in pietra di grossa mole", l'epigrafe doveva essere posta alla base della statua, che presumibilmente si trovava nel foro della città. Datata tra la seconda metà del II sec. a.C. e gli inizi del I, prima che Aletrium divenisse municipio romano, attesta le opere pubbliche di carattere civile finanziate dal censore, magistrato addetto ai tributi in età repubblicana, Lucio Betilieno Varo, appartenente alla gens dei Betilieni, di probabile origine sabina. L'opera più importante è l'acquedotto che dalle sorgenti sopra Guarcino giungeva presso la confluenza del fosso del Purpuro col fiume Cosa, oltrepassandola e dopo aver superato un dislivello di 340 piedi (ca. 100 m), risaliva fino al bacino di distribuzione di Porta S. Pietro.
LE OPERE DI LUCIO BETILIENO VARO L(ucius) Betilienus, L(uci) f(ilius), Vaarus / haec quae infera scripta / sont de senatu sententia / facienda coiravit: semitas / in oppido omnis porticum qua / in arcem eitur, campum ubei / ludunt, horologium, macelum, / basilicam calecandam, seedes, / [la]cum balinearium, lacum ad / portam, aquam in opidum adou(c(entem) / arduom pedes CCXL fornicesq(ue) / fecit, fistulas soledas fecit / ob hasce res censorem fecere bis / senatus filio stipendia mereta / ese iuosit populusque statuam / donavit Censorino.
Lucio Betilieno Varo, figlio di Lucio, fece fare le opere che qui di seguito sono descritte su deliberazione del senato: tutti i vicoli entro la città, il portico attraverso il quale si va sulla rocca, il campo dove giocano, l'orologio, il mercato, la basilica (che era) da intonacare, i sedili, la piscina per i bagni, la cisterna presso la porta che manda l'acqua in città, fino ad un dislivello di 340 piedi, e fece le arcate, fece tubature massicce; per queste cose (lo) fecero censore per la seconda volta, il senato volle che il figlio avesse l'esonero dal servizio militare e il popolo donò la statua al "Censorino".
Forme arcaiche Vaarus=Varus; infera=infra; sont=sunt; senatu=senatus; coiravit=curavit; omnis=omnes; eitur=itur; ubei=ubi; seedes=sedes; adou(centem)=addu(centem); arduom=arduum; soledas=solidas; mereta=merita; iousit=iussit.
Storia di Alatri Alatri è posta su una delle colline dei monti Ernici, nella zona preappenninica occidentale del Lazio, a 41° 38' 53'' di latitudine Nord, e a 13° 17' 44'' di longitudine Est. E' stata fondata e abitata dagli Ernici: un popolo italico che prende il nome da Herna, una voce arcaica marsicana che significa pietra. La forma primitiva del nome Alatri può rintracciarsi solo comparandoetimi e costumi, e raccordando dati linguistici e archeologici: è difficile, infatti, riprodurre il processo fonetico di questo nome. Eccone alcuni tentativi. Per l'orientalista Cesare Antonio De Cara è Pal-ati-ri, che, per la caduta della labiale aspirata e per la sincope della i di ati, diventa (P)al-at(I)-ri. Nelle antiche lingue dell'Asia Minore, il fonema "(P)al" sta per Emigrante, "(H)at" sta per Hatti, "ri"dice possesso (la città, il luogo) che appartiene agli Hatti venuti da lontano. Una celebre città della Focide, presso il fiume Cefisso, si chiama Helatreia e nell'Epiro troviamo Elatria. Camillo tarquini fa derivare il nome da El-Edrei, la città il cui braccio è Dio. Edrei era una città preisraelitica dell'antica Betanea, l'odierna Der'a, al confine tra la Siria e la Giordania. Nella Vita dei Pontefici il Giaconio riporta lo stemma del cardinale Ugone di Alatri (inizio del sec. XII): una torre alata: la città alta sul monte -AlataTurris che, contratta per assonanza, diviene Ala-(ta)t(ur)ri(s). Un tentativo anch'esso , ma che reca solo una ragione fonetica. E' una città preistorica che la leggenda associa alle altre città Saturnie, dette anche Pelasgiche. Tuttavia l'oriantazione archeoastronomica delle possenti mura poligonoli megalitiche della cinta esterna e dell'acropoli, assetto riscontrabile in molte città dell'antica Grecia e dell'Asia Minore, toglie suggestività alla vicenda e diventa storia. Questa popolazione eminentemente montanara, saldata attraverso la forma associata della confederazione, lottò lungamente per la difesa della propria indipendenza non solo con i limitrofi raggruppamenti italici, ma anche e soprattutto con la crescente potenza della vicina Roma, con la quale tuttavia stipulo', al tempo di Tarquinio il Superbo, una pacifica e duratura alleanza militare e religiosa. I continui e drammatici scontri tra Ernici e Romani, durati oltre centottanta anni e che registrarono combattimenti assai sanguinosi, come quello avvenuto sul lago di Regillo nel 496 a.C., ottenendone in cambio benefici e privilegi. Da questo momento la pace tra Roma e Alatri durò ininterrotta, favorendo un benefico sviluppo culturale ed economico, testimoniato soprattutto dalle molte opere edilizie che il censore Lucio Betilieno Varo, fece eseguire per ristrutturare e abbellire la città. Nel 90 a.C. con la promulgazione della Lex Iulia de civitate, Alatri, per essersi mostrata ancora fedele a Roma durante la guerra sociale, ottenne la cittadinanza romana costituando un cospicuo municipio. La presenza di cristiani nella città non è documentata prima del 380 d.C., ma si può credere che il cristianesimo sia arrivato già nell'età apostolica, per la conversione dei membri di un insediamento giudaico che risaliva al 63 a.C. e ripopolato nel 49 d.C., dopo la cacciata degli Ebrei da Roma, per ordine di Claudio. Alatri può ritenersi una della più antiche diocesi del periodo subapostolico, creata assieme alle altre 48 del Latium adjectum, anche se la prima notizia del suo vescovo si potrà avere solo nel 551, con Pascasio. La tomba del martire Quinziano, ed il conseguente toponimo, potrebbe darci la certezza della presenza cristiana ad Alatri prima del tempo delle persecuzioni, se si potesse provare che quel martire era stato un fedele del luogo. Negli anni che seguirono la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Alatri visse chiusa nelle sue mura partecipando sempre più attivamente alle sanguinose lotte tra Odoacre e il goto Teodorico, accorso in Italia su richiesta dell'imperatore di Costantinopoli per scacciare la minaccia degli Eruli. Le sorti della città di Alatri furono momentaneamente sollevate dal nobile patrizio romano Liberio, che forte della profonda amicizia prima con Odoacre e poi con Teodorico cercò di tenere estranea la zona, per quanto potesse, alle scorrerie dei barbari. Nel vicino territorio ad oriente di Alatri, fece costruire il protocenobio di S. Sebastiano, affidandolo alla protezione dell'abate Servando, che nel 528 ospitò Benedetto da Norcia e i suoi discepoli, Placido e Mauro per una breve sosta durante il loro viaggio da Subiaco a Monntecassino. Si apre all'inizio del nuovo millennio, un periodo assai meno oscuro per la storia di Alatri, che proprio in quegli anni ebbe il privilegio di annoverare nella lista dei suoi figli illustri il nome del cardinale Ugone. Nato intorno al 1038 ed educato presso il monastero di Montecassino, dopo una fulgida carriera che lo vide prima cappellano e suddiacono pontificio, poi vicecancelliere e successivamente nell'1105 cardinale del titolo dei SS. XII Apostoli, si rese protagonista di uno dei momenti più drammatici della lotta antipapale di Enrico V. Costretto a fuggire nella notte attraverso le acque del Tevere con il Papa Gelasio II per le continue minacce dell'imperatore, quando questi, dopo un lungo inseguimento stava per irrompere nelle galee papali, Ugone mise in salvo il vecchio Pontefice, caricandoselo sulle proprie spalle, donde l'appellativo di novello Enea. Un altro personaggio locale destinato a legare la propria stroria ai più importanti eventi dell'ormai secolare lotta tra il Papa e l'imperatore fu il cardinale Gottifredo. Questi dopo un'intensa attività durante la quale riuscì a tessere solide impalcature politiche, ottenne simultaneamente quattro canonicati in varie parti d'Europa, diede vita ad uno dei feudi più invidiati e potenti della zona, annoverando ricchezze ritenute per allora favolose. La sua amicizia con il sovrano francese Carlo D'Angiò, che incoronò egli stesso nel 1266, aiutò il carinale a comprendere le più sorprendenti mosse diplomatiche a favore del papato e contro le aspirazioni degli Hohenstaufen. La seconda metà del XVI secolo fu caratterizzata da un progressivo impoverimento, principalmente a causa della continua opera di espansione della Roma democraticache, nel 1361, le impose i suoi podestà. Nè miglior sorte era destinata ad avere dopo le promulgazioni delle costituzioni del cardinale Albornoz, il quale riducendo ulteriormente l'autonomia comunale, la privò anche del possesso delle castellanie. I primi anni del XVI secolo furono ancora più insicuri per Alatri che si vide nuovamente occupata da Cesare di Caietani di Filettino e costretta a pagare tremila scudi per riottenere la libertà. E neppure gli anni successivi recarono pace a questi territori. Durante la guerra scoppiata tra Paolo IV e Filippo II re di Napoli, il duca d'Alba e vicere Fernando Alvarez de Toledo, nel 1566 si lanciò con un forte esercito contro le terre dello stato ecclesiastico, acquistando il monopolio su molte cittadine, tra cui Alatri che, al contrario di queste, non oppose alcuna resistenza, evitando in tal modo peggior sorte. In città e nel territorio ripresero le tradizionali attività, ma i duri attacchi sostenuti precedentemente relegarono la popolazione ad una vita assai dura. Un esatto quadro di questa critica situazione è possibile coglierlo nelle pagine delle Costituzioni sinodali promulgate dal vescovo Egnazio Danti negli ultimi anni del XVI secolo. Lo stato di abbandono delle chise, l'incalzare di nuove epidemie, le precarie condizioni della popolazione, spinsero il vescovo a ricostituire ex novo la vita religiosa e sociale dell'intera diocesi, arricchendola di un monastero e di nuovi edifici per il culto, ordinando la repentina distruzione di quanto fosse fatiscente e infetto. Ma l'evento di maggior rilivo che caratterizzo il breve episcopato dell'illustre vescovo scienziato fu il ritrovamento nel 1584 dell'urna contenete le reliquie del corpo di S. Sisto, nascosta dagli alatrini milti anni prima per paura del saccheggio e della profanazione. Contemporaneamente al vescovo Danti noto ai suoi tempi per l'indubbia seriatà morale e severità di giudizio, fu l'alatrino Pompeo Molella, che laureatosi giovanissimo in giurisprudenza ed entrato assai presto nelle grazie dei pontefici, celebrò i più importanti processi dell'epoca, tra cui quello del 1599 che vide condannati al patibolo Beatrice Cenci e i suoi complici. Con la fine del secolo, però, passata la terribile bufera che raggiunse il culmine con il grave terremoto del 1654 e la successiva peste del 1656, iniziò un lento processo di chiarificazione e trasformazione della vita sociale ed economica, grazie anche ad una ritrovata lungimiranza politica per la quale si atturono piccole ma importanti riforme. Non va dimenticato infatti che proprio in questo secolo si provvide a contenere il dilagante fenomeno dell'analfabetismo, assicurando l'ssistenza e l'educazione della gioventù con la creazione del seminario diocesano, retto nel 1689 dal vescovo Stefano Ghirardelli. Analogamente, pochi anni dopo, per mezzo di un cospicuo lascito del nobile uomo alatrino Giuseppe Conti, anche il comune soddisfece alla necessità dell'insegnamento pubblico, ospitando nel palazzo, appartenuto precedentemente ai Conti-Gentili i Padri Scolopi che si resero subito centro di una notevole e duratura opera culturale. Col tempo la confraternita raccolse nella sua sede una pregivole bibblioteca, ricca di opere astampa e di manoscritti il cui incremento fu sempre più notevole fino alla metà del XX secolo. Al rinnovamento socio economico, che la popolazione ebbe a sperimentare ininterrottamente durante tutto il '700 , si aggiunse sul finire del secolo quello polotico, sostenuto dagli ideali di libertà, fraternità, eguaglianza promulgati dalla Rivoluzione Francese. Proclamata nel 1798 la Repubblica romana e risistemato l'ordinomento politico-amministrativo della provincia di Marittima e Campagna, che in quell'occasione prese il nome di Dipartimento del Circeo, Alatri fu dichiarata capo cantone di un vasto territorio comprendente Vioco, Collepardo, Trivigliano e Fumone. Dopo un periodo di occupazione alleata, nel 1800 ripristinato lo Stato Pontificio e diviso amminstrativamente in sette delegazioni, Alatri fu inclusa in quella di Frosinone. Intanto la parabola napoleonica seguiva il suo corso passando dal consolato, al regno, all'impero. Nel giugno 1809 le truppe francesi occuparono nuovamente le terre pontificie, annettendo Alatri al Dipartimento delTevere e con esso all'impero francese. Come altre città dell'Italia centrale essa visse drammaticamente le vicende di questo periodo. Rimpiangendo l'autorità pontificia il popolo continuò ad agitarsi contro il Bonaparte per via di gravami fiscali e per le continue coscrizioni militari durante la disastrosa Campagna di Russia. A tutte queste manifestazioni fra negative e positive della vita alatrense dell'800, dovremmo sovrapporre ora come di rito, i grandi fatti del Risorgimento italiano. La quasi copleta indifferenza della città verso questi, ad eccezione di qualche sporadico cittadino come l'avv. Sisto Vinciguerra che fu eletto nella Costituente di Frosinone, o come Giampaolo Rossi che cadde combattendo con Garibaldi nella battaglia di Velletri, non ci permette di registrare nessuna eco di quei fermenti inrredentistici. I continui soggiorni pontifici non poterono non generare che la completa fedeltà di Alatri al papato. Più volte beneficiata da Pio IX, nel maggio 1863, in seguito ad una sua visita, la città esultò lungamente alla notizia che il Pontefice, accortosi delle misere condizioni in cui versava parte della popolazione assetata,aveva donato 20000 scudi per la costruzione di un nuovo acquedotto. Tuttavia se le sane iniziative del Pontefice, servirono a ritardare l'inesorabile epilogo, non di certo riuscirono ad evitarlo: il 20 settebre 1870, dopo che la breccia di Porta Pia restitui Roma all'Italia, anche Alatri vide sventolare il tricolore sulle proprie mura. Con l'inizio del XX secolo, inoltre, vi fu un certo incremento drll'attività artigiana donde ebbe inizio un vivace progresso che con poche interruzioni dura ancora ai nostri giorni. Nello stesso tempo e con rapidità aumentò la popolazione e naturalmente si accrebbe l'area del centro abitato che superò assai presto l'antica cerchia muraria. Fiorì pure rigogliosissima la vita letteraria e politica. Quelle di Luigi Ceci socio della R. Accademia dei Lincei e professore ordinario di storia comparata delle lingue classiche nella R. Università di Roma, di P. Luigi Pietrobono celebre dantista ed intimo amico di Pascoli, nonchè quello del Can. Luigi De Persis, profondo e autorevole storico della città, sono nomi che hanno lasciato una profonda traccia in tutta la cultura italiana del '900.
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